Sul Cavaliere in versione anti-euro i processi pesano, anche se Ferrara giura di no

8 Lug 2013 14:29 - di Mario Landolfi

Dalle colonne del Giornale Giuliano Ferrara ci informa che in cima ai pensieri di Berlusconi non ci sono le sue pendenze giudiziarie bensì il destino dell’economia italiana sempre più ipotecato dagli effetti dell’euro, da lui ormai inteso non solo come moneta unica ma soprattutto come simbolo di sovranità perduta. In senso strettamente giornalistico, è una vera notizia dal momento che non c’è un solo italiano che non sia pronto a piazzare i processi in corso in vetta alla classifica delle preoccupazioni del Cavaliere. Politicamente parlando, è addirittura una bella notizia poiché certifica la fuoriuscita del Pdl dal recinto del pensiero unico eurocentrico. Ove confermato da scelte concrete, significherebbe che dopo anni di più o meno convinto ossequio alla retorica di Eurolandia, appena interrotto da qualche estemporanea sortita, Berlusconi comincia finalmente a convincersi che dalla crisi non si esce restituendo l’Imu o detassando le assunzioni ma solo rimettendo in discussione i fondamentali a base dell’attuale architettura comunitaria, euro compreso.

Non è qui il caso di indugiare su fasti e nefasti dalla moneta unica, più volte trattati su queste stesse colonne. Quel che rileva in questa sede è capire se l’editoriale di Ferrara anticipa un salto di qualità della strategia berlusconiana sulle questioni europee, cui correlare la riesumazione di Forza Italia, o se siamo ai consueti, roboanti annunci seguiti dai soliti tarallucci e vino. Interessa cioè capire se il vecchio-nuovo partito finirà tra quei movimenti sempre più insofferenti verso le istituzioni di Bruxelles o se resterà nel solco del popolarismo europeo, seppur in posizione assai critica. Se, insomma, Forza Italia si sposterà a destra o rimarrà al centro. Non è solo una questione di etichette ma a giudizio di chi scrive esistono almeno tre elementi che inducono a ritenere più gettonabile la prima opzione. E non solo per ragioni politiche.

Primo: Berlusconi non ha mai dimenticato che alla fine dello scorso anno il Ppe fu sul punto di scaricarlo in favore di Mario Monti, al cui governo aveva revocato la fiducia. Una decisione che gli ambienti vicini alla Merkel tentarono di fargli pagare attraverso l’espulsione dal partito guidato da Martens. Non se ne fece nulla, ma il tentativo ci fu. Il resto è noto: a differenza di Monti, Berlusconi uscì tutt’altro che scornato dal test elettorale, tanto è vero che oggi conta ben cinque ministri nell’attuale governo.

Secondo: se in autunno Berlusconi dovesse essere condannato definitivamente, il suo prestigio a livello internazionale finirebbe fatalmente per risentirne e difficilmente lo stesso Ppe potrebbe far finta di niente. Il ritorno alle origini di Forza Italia, partito approdato solo successivamente in quel raggruppamento, potrebbe a quel punto tornare utile per giustificare una separazione consumata su contenuti politici e non subita a seguito di una sentenza giudiziaria.

Terzo: ad un leader condannato, disconosciuto a livello internazionale ma libero da vincoli politici, non resterebbe che agitare temi di sicuro impatto popolare come la revisione del Trattato istituivo dell’Unione Europea e della moneta unica che però sul governo Letta non produrrebbero certo l’effetto di un elisir di lunga vita. Tutt’altro. Le elezioni – a quel punto probabilissime – si risolverebbero in un referendum pro o contro Berlusconi, contumace suo malgrado. E se a vincerlo fosse il Cavaliere, sarebbe l’ennesima conferma che questa Europa è assolutamente incapace di reggere l’urto dei popoli.

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