Monti promette soldi ma non placa la Cgil

11 Set 2012 20:33 - di

In una scena del film “Le comiche”, Villaggio e Pozzetto devastavano un alberghetto di montagna nel tentativo di vendere al povero gestore uno strumento pulisci-moquette. “Ma sta allagando tutto”, si lamentava l’albergatore. “Sì, sì, deve allagare, è basilare”, rispondeva Pozzetto, fingendo di sapere il fatto suo. Ecco, il presidente del Consiglio Mario Monti applica più o meno la stessa strategia: l’economia italiana va a scatafascio? Deve farlo. È basilare. Tutto sotto controllo, quindi. O almeno questo è quello che il premier ha voluto farci credere intervenendo all’inaugurazione del salone del Tessile Milano Unica. «Il governo – ha spiegato – ha contribuito ad aggravare la congiuntura economica già difficile con i suoi provvedimenti, che però serviranno ad un risanamento e ad una crescita duratura. Si dice che con le nostre decisioni abbiamo contribuito ad aggravare la congiuntura. Certo, solo uno stolto può pensare che sia possibile incidere in elementi strutturali che pesano da decenni senza provocare nel breve periodo un rallentamento dovuto al calo della domanda. Solo in questo modo si può avere la speranza di avere più in là un risanamento». Per carità, tutte le terapie d’urto passano attraverso una fase di choc iniziale. Ma certo, cercare di non uccidere il paziente strada facendo potrebbe dimostrarsi un gesto carino che il popolo italiano apprezzerebbe. L’ammissione di colpa, comunque, c’è forte e chiara. E non è la sola. Sempre ieri, infatti, Monti ha ammesso di far parte della casta, sia pur col solito modo sfuggente: «Casta siamo tutti noi cittadini italiani che continuiamo a dare prevalenza più al particolare che al generale e poi ci lamentiamo che il generale funziona male». Insomma, lui è casta, ma anche noi. Forse noi pure un po’ di più. E con questa sono due ammissioni di colpa rigirate in argomenti a favore. La tattica è un po’ quella del piazzista da fiera di paese, del finto esperto alle prese con i disastri della propria incompetenza: ostentare sicumera, rassicurando tutti sul fatto che le complicazioni erano ampiamente previste. E intanto prendere tempo, per il futuro qualcosa succederà. Se qualcuno è diffidente è solo perché è incompetente, magari populista, perché l’esecutivo sta comunque facendo quel che deve essere fatto: «Il governo – ha continuato Monti – ha affrontato nodi essenziali che per anni erano stati trascurati o in cui si era intervenuti in modo parziale e non risolutivamente efficace». Il premier cita la riforma delle pensioni e la spending review fatta «con una difficilissima opera di incisioni chirurgiche delicatissime da fare e pesantissime da ricevere, come ci stiamo accorgendo». Non solo, i tagli vanno ad «intaccare tessuti in cui le commistioni tra politica e amministrazione avevano nei decenni creato spesa pubblica e opacità». Insomma, la crisi morde e la colpa di chi è? Per le responsabilità del governo, lo abbiamo visto, c’è la giustificazione da casa. E allora non resta che prendersela con le parti sociali: «Anche le imprese certe volte, come ogni soggetto, tentano di cavalcare le difficoltà del Paese per trarne vantaggi. Esigiamo  nel nome dell’interesse generale – ha continuato il premier – che le imprese e i sindacati riescano a fare qualcosa di più. Serve uno sforzo congiunto delle parti sociali che prevalga sui particolarismi. Ci chiediamo se siano stati fatti tutti gli sforzi necessari per mettere in atto gli accordi del 28 giugno 2011» siglati tra l’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e i sindacati. Nell’incontro avuto con questi ultimi a Palazzo Chigi, tuttavia, il premier ha subito cambiato registro: «Vorremmo ragionare con voi e con il vostro contributo di produttività come uno degli elementi essenziali della crescita e dell’occupazione. Recuperare la competitivitá delle imprese è ora una sfida del paese da prendere in considerazione. Forse ancora più importante dello spread», ha dichiarato Monti durante l’incontro. Ma mentre ragionava di produttività, il premier si è dovuto arrendere e ha ammesso: «Mentre la Grecia, la Spagna, l’Irlanda e il Portogallo hanno aumentato la produttività è diminuito il costo unitario del lavoro invertendo il trend negativo, l’Italia non ha migliorato la produttività e ha peggiorato il costo del lavoro». Insomma, siamo l’ultima ruota del carro. Peggio della Grecia. Peggio di tutti i Piigs. È per questo che bisogna fare in fretta: «C’è urgenza di uno sforzo per
risultati concreti nel tavolo tra sindacati e imprenditori: abbiamo poche settimane disponibili prima dell’Eurogruppo e del Vertice Ue di ottobre e al massimo in un mese servono segnali concreti», ha detto. Secca, comunque, la replica del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso: «La crescita non può dipendere da quello che le parti sociali possono fare in termini di produttività aziendale, servono interventi sulla produttività di sistema, politiche industriali ed energetiche da parte del governo. Sulla produttività incide il problema della dimensione delle nostre aziende. Servono inoltre nuove norme sulla legalità e sulla corruzione che indicono pure sulla produttività». Anche se, ha ammesso, «le parti sociali possono fare la loro parte ripartendo dall’accordo del 28 giugno 2011 estendendolo e applicandolo nei rinnovi contrattuali». Per la numero uno della Cgil, «serve ridare fiducia alle persone cominciando con la detassazione delle tredicesime con le risorse recuperate dalla lotta all’evasione». Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, dal canto suo, ha ribadito che «i salari sono bassi per le troppe tasse e per la scarsa produttività di sistema. Il nodo è questo. Siamo disposti a lavorare insieme sugli elementi che ostacolano la maggiore produttività per alzare i salari». Pensa positivo, invece, il leader dell’Ugl, Giovanni Centrella, secondo il quale «questo incontro per noi rappresenta il primo passo per superare la crisi». Per il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, «ci sono margini per mettere più soldi in tasca alla gente, ma senza aumenti di produttività, aumenti salariali saranno impossibili». E se possibile, avrebbe dovuto aggiungere, bisognerà far meglio de “Le Comiche”. È basilare.

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