Siamo tutti Guy Montag

8 Giu 2012 19:59 - di

Il potere della letteratura come un imponente argine contro le derive neototalitarie. È questa l’eredità più preziosa dell’opera di Ray Bradbury, scrittore e sceneggiatore americano scomparso mercoledì a Los Angeles, autore di classici come “Cronache marziane” (1950) e “Fahrenheit 451”, un romanzo di fantascienza, scritto nel 1953, che conserva una straordinaria attualità nel mostrare i rischi dell’uomo nel rinunciare alla propria libertà intellettuale e politica, sedotto dalle sirene dell’omologazione. Il libro racconta la storia di Guy Montag, un pompiere sui generis: non doveva occuparsi di spegnere incendi ma di dare alle fiamme libri su mandato di un oscuro potere statuale. Solo non leggendo la gente, infatti, poteva “vivere felice”. Montag scoprì, innamorandosi del “David Copperfield” di Charles Dickens, il potere della parola come veicolo di una libertà che sarebbe stata polverizzata dal fuoco. La sua critica colpiva la visione messianica della Tecnica: «Uscivamo dalla seconda guerra mondiale ed era un periodo terribilmente negativo. Il frutto del progresso scientifico era la bomba atomica, un’arma distruttiva. Ricordo una notte, nell’estate del ‘46 o del ‘47, quando i nostri scienziati stavano per fare il primo esperimento di superbomba in un atollo e nessuno, nemmeno i tecnici che l’avevano messa a punto, conoscevano tutte le possibili conseguenze di quella esplosione. Quella notte mi convinsi che lo sviluppo tecnologico ci stava portando dalla parte sbagliata».

L’esordio a puntate su “Playboy”
La fortuna di “Fahrenheit 451” – che inizialmente fu pubblicato a puntate su “Playboy” -crebbe a dismisura, diventando un vero cult, con la trasposizione cinematografica girata nei Pinewood studios nei dintorni di Londra nel 1966. Il regista del film fu Francois Truffaut: nella sceneggiatura riportò fedelmente la trama del romanzo, salvo modificare il finale lasciando immaginare l’idillio tra Montag e l’amata Clarisse nella città degli “uomini-libro”. Così l’americano spiegava la sua poetica antitotalitaria: «La letteratura fantasy racconta cose che non possono accadere. La fantascienza racconta cose che possono, invece, accadere. “Fahrenheit 451” è un libro ricco di ipotesi, alcune delle quali confermate dalla realtà. I libri possono cambiare il mondo. E per questo fanno paura. Il mio romanzo racconta lo straordinario potere della letteratura. Quando fu pubblicato in Unione Sovietica non capirono che parlavo anche di loro e nel mio piccolo credo di aver dato un piccolo contribuito a far cambiare idea ai russi».
Il libro come grimaldello contro il potere, questa è la potente metafora di Bradbury che in “Farhenheit 451” si spingeva oltre nel descrivere l’orizzonte massificato dell’uomo ridotto ad un misto tra replicante e consumatore: «No, vi assicuro. Parla di una gran quantità di automobili, parla di vestiti e di piscine e dice che sono una meraviglia! Ma non fanno tutti che dire le stesse cose e nessuno dice qualcosa di diverso dagli altri…». E proprio questea suggestioni alimentate dalla società dello spettacolo «fatta apposta per non far pensare la gente, con informazioni costruite in modo che la gente creda di pensare», incontrano la tensione filosofica di Ernst Junger e la speculazione del pensatore tedesco legata ad una visione dell’esistenza come una armoniosa sintesi di contrasti, l’antitesi di un mondo ad unidimensionale.
L’opera di Bradbury è un punto fermo nel Pantheon della cultura della destra anticonformista: non a caso una delle prime occupazioni di spazi non conformi a Roma, sulla via Tiberina, fu intitolata Casa Montag. Lo scrittore americano considerava ancora attuali i temi del suo romanzo più famoso e invitava a non farsi abbindolare dal politicamente corretto: «Sì, c’è un libro che riscriverei, ed è proprio Fahrenheit 451. (…) Perché il pensiero libero fa paura e perché c’è sempre chi vuole decidere per qualcun altro cosa è bene e cosa no. Nel mio libro la censura nasce dal desiderio del governo di rendere la gente felice, il capo dei pompieri, Beatty, spiega a Montag che bruciano i libri perché i contenuti di alcuni di essi offendono le minoranze, perché altri causano infelicità. E l’uso del termine “minoranze” non è legato ai temi razziali, ma a tutti. Ognuno di noi è parte di qualche minoranza, per gusti, passioni, professione, o interesse, quindi ognuno di noi può essere “offeso” dal contenuto di un libro.

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