Rosi la nera rovina la festa al Carroccio

10 Apr 2012 20:50 - di

Hanno rinunciato persino a parlare, gli “altri”. Nemmeno un saluto di fronte alle migliaia di militanti padani arrivati armati di scope per fare pulizia, nemmeno una testimonianza di esistenza in vita davanti alle bandiere verdi che sventolano. Nel giorno della “Rabbia e dell’Orgoglio”, come titolava ieri “la Padania” rubando l’espressione a Oriana Fallacia, Roberto Calderoli ed Emanuela Dal Lago non prendono la parola per lasciare la scena a Bobo Maroni. La sua corsa alla segreteria è ormai lanciata a tutto sprint e gli altri colonnelli devono accontentarsi di applaudire al nuovo che avanza: a poche ore dal raduno di Bergamo (spostato dal PalaCreberg alla Nuova Fiera per previsto eccesso di partecipanti), da via Bellerio arriva la decisione che ha il sapore dell’investitura: prenderà la parola soltanto l’ex ministro dell’Interno, futuro dominus del partito con la necessaria benedizione di Umberto Bossi. Incerto fino all’ultimo anche l’intervento dell’ex segretario “promosso” a presidente del partito, che poi si decide ad affiancare Maroni sul palco. Al senatùr Bobo il moralizzatore continua a rivolgere parole di eterna gratitudine considerandolo un combattente («Bossi resta, farà il presidente, non ha alcuna intenzione di mollare»). Al segretario in pectore, che non intende aspettare autunno per celebrare il congresso e restare galleggiante mentre il partito è sulla graticola, non bastano le teste già cadute, serve un nuovo inizio e un ricambio totale ai vertici del movimento. Il passo indietro di Renzo Bossi da consigliere regionale? «È il primo atto delle pulizie di primavera ma non basta di certo. Adesso avanti tutta», commenta su Facebook. Il secondo atto, però, non arriva: la testa di Rosi Mauro per ora non cade. È lei stessa ad annunciare dai mocrofoni di “Porta a Porta” che a dimettersi dalla vicepresidenza del Senato non ci pensa affatto. Una doccia fredda per il partito del «chi sbaglia deve pagare». Per tutto il pomeriggio si rincorrono le voci di dimissioni imminenti, entro la giornata, con tanto di agenzie a informare dell’esistenza di una lettera già pronta nero su bianco in viaggio all’indirizzo di Renato Schifani. Poi la smentita della diretta interessata. «Non vedo perché dovrei lasciare, la Lega non mi ha mai dato un euro. Ma c’è la donazione del partito al sindacato. Tutto è tracciabile dai bonifici. Io non ho mai preso un euro. Tutti lo sapevano, anche Bossi, perché – spiega – non c’era niente di illegale». Dal salotto di Bruno Vespa è un fiume in piena ed entra nel dettaglio delle intercettazioni nelle mani delle procure: «Si parla di 29mila franchi alla Nera, la Nera altro non è che l’infermiera svizzera che segue Umberto Bossi da quando è stato in clinica. È facile verificarlo».
Ma il pressing del partito è forte e difficilmente la pasionaria alla guida del sindacato padano potrà resistere a lungo. La Lega è tutta con Maroni, magari “obtorto collo”. Da minoranza interna, il manipolo dei maroniani si ingrossa di ora in ora perché non è sfiorato dal fango degli scandali e perché è l’unico a poter rivendicare il copyright del teorema «noi lo avevamo detto, ma non siamo stati ascoltati». I fischi del giorno dello psicodramma delle dimissioni del senatùr sono acqua passata, contestazioni improvvisate di pochi bossiani di ferro arrivati da Busto Arsizio al grido di “Giuda Giuda”. Da ieri sono tutti convertiti al verbo del futuro capo: i detrattori si defilano spontaneamente uno dietro l’altro e il sempreverde Calderoli, forse temendo di essere tirato dentro qualche filone di indagine, ha di fatto rinunciato a qualsiasi velleità leaderistica. Ieri il segretario provinciale di Varese, Maurilio Canton, si è dimesso dal suo incarico temendo una richiesta di sfiducia per aver partecipato alle contestazioni a Maroni di giovedì scorso. E in appoggio all’ex ministro, maroniano da sempre, anche il sindaco di Verona, Flavio Tosi, alle prese con la campagna elettorale. Non va a Bergamo ma non si sfila dalla partita e tira la volata all’amico Bobo («il segretario deve essere il migliore. La mia idea è quella lì, lo sanno tutti, però, ripeto: che sia il congresso a decidere il segretario migliore»). E si spinge ad auspicare il congresso prima dell’estate confermando il disegno di Maroni di forzare la mano e portare quanto prima il movimento alle assise congressuali come commissario unico.

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