L’ex capo dei Ris Luciano Garofano: «Il Kerala non può decidere da solo»

2 Mar 2012 20:41 - di

«La parte più importante della prova balistica è l’esame microscopico, l’idea che i nostri tecnici possano partecipare solo all’esplosione dei colpi sperimentali è davvero risibile». Luciano Garofano è uno dei massimi esperti balistici italiani. È professore di “Tecniche di indagine, della sicurezza e criminologia”, è generale in congedo dei Carabinieri, è stato capo del Ris di Parma. La vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò trattenuti in India con l’accusa di omicidio, la sta seguendo con l’occhio dell’esperto e, da esperto, concorda totalmente con il ministro Giulio Terzi e la delegazione della difesa italiana in India: «Solo la presenza dei periti italiani in laboratorio può dare le garanzie che servono».

I periti italiani ci saranno?
Per oggi si attende la risposta della Corte del Kerala al ricorso presentato dalla difesa dei marò, che qualche giorno fa si è vista dire no all’accesso dei propri periti agli esami di laboratorio sulle armi sequestrate sull’Enrica Lexie. C’era un accordo precedente che diceva il contrario, ovvero che gli esperti potessero assistere a tutte le fasi dell’esame, ma la polizia scientifica dello Stato si è appellata al proprio regolamento e alla sua autonomia rispetto alla polizia “ordinaria” per sostenere che nessuno che non appartenga al corpo può entrare in laboratorio. Ieri Staffan de Mistura rivelava che «ci sono indicazioni che vanno nella direzione giusta per quanto riguarda la presenza di esperti italiani alla perizia balistica», ma aggiungeva di non voler abbandonare la cautela perché «già in passato ci erano state date assicurazioni che sono cadute alle verifica dei fatti». Il sottosegretario, dunque, ha chiarito che crederà solo quando vedrà entrare nell’Istituto scientifico della polizia di Trivandrum i maggiori dei carabinieri Paolo Fratini e Luca Flebus, i periti arrivati dall’Italia ormai quasi dieci giorni fa. Stando alle ultime notizie, comunque, la situazione si starebbe sbloccando e il contenzioso di cui si dovrebbe venire a capo oggi riguarderebbe solo il numero di italiani ammessi in laboratorio. «Noi avevamo chiesto quattro, ma – ha chiarito de Mistura – se fosse due andrebbe bene lo stesso perché sono tutte persone preparate». L’importante, ha insistito, «è che possano essere presenti a tutte le fasi della perizia».

Come si fa un esame balistico
L’esame sulle armi si svolge in due fasi: la prima è la cosiddetta prova di fuoco, in cui si spara per ottenere i proiettili da confrontare con quelli nelle mani degli inquirenti; poi ci sono le prove di laboratorio per il confronto, la parte più delicata dell’analisi, quella che rappresenta la vera prova del nove sulle armi. Quello che è stato interdetto agli italiani, insomma, è il cuore della prova balistica. «Si tratta di un’analisi molto seria e scrupolosa, attraverso la quale si può stabilire da quale arma siano partiti i colpi», dice Garofano, sottolineando che «vedendo proiettili e bossoli si può stabilire con certezza non il tipo di arma, ma la singola arma che ha sparato». Si tratta anche, però, di un’analisi molto delicata che «si fonda su un esame microscopico scrupoloso, perché lo sparo lascia sul proiettile e sui bossoli segni caratteristici identificativi, impressi dalle componenti meccaniche dell’arma. Questi microsegni sono alla base del confronto tra l’arma sospettata di aver sparato e i bossoli e i proiettili repertati e dicono se c’è corrispondenza o meno».

Una questione di diritti
In questo procedimento, secondo il professore, è fondamentale anche il confronto tra i periti delle parti, che invece – secondo le indiscrezioni – le autorità indiane vorrebbero proibire. Riferiva ieri l’agenzia di stampa Pti che il giudice A.K. Goapakumar avrebbe autorizzato la presenza dei due esperti come «testimoni silenziosi», che «non devono interferire nei test, verificarli o rivelarli». Una situazione che non farebbe bene alle indagini perché, spiega Garofano, «non tutto è così semplice come si vede nei film». «L’analisi si basa su microsegni, microstriature, se non c’è una buona esperienza si corre il rischio di dare interpretazioni sbagliate. Tutti siamo portati a pensare che gli esperti indiani facciano il loro dovere, ma il contributo dei periti di parte, magari anche con una sorta di contraddittorio, può far meglio apprezzare i micro elementi dei reperti balistici, rispetto ai quali c’è anche il rischio di compiere diagnosi sbagliate». «Non si tratta di mettere in dubbio la buona fede degli investigatori indiani, qui – spiega Garofano – parliamo di una questione di diritti. Da sempre le parti hanno diritto a partecipare, perché dal confronto e dalla collaborazione possono nascere risultati della massima scrupolosità».

«Ricorda la geometria?»
Invece, tutto quello che esula da un procedimento basato sulle evidenze e rigorosamente scientifico, per Garofano, non serve a granché. Per questo l’ex capo del Ris invita a mettere da parte tutte le indiscrezioni e le ipotesi circolate in questi giorni: dal paragone teorico tra le armi in dotazione ai marò e quelle in dotazione ad altri corpi militari o di polizia, alle foto del peschereccio St. Anthony, da cui si desumerebbe una traiettoria incompatibile con colpi sparati da una petroliera come la Enrica Lexie. «Ricorda la geometria? Da due punti passa una e una sola retta, la definizione delle traiettorie si basa su questo principio fisico e geometrico, ma è quanto di più complesso ci sia perché i movimenti delle persone sono plastici e le traiettorie vanno calcolate sulla base degli esiti medico legali, sui fori di entrata di uscita e tramite l’esame intracorporeo. Cercare di stabilire una traiettoria sulla base di una foto è molto riduttivo».

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