Meno tasse? Per ora è solo una speranza

24 Feb 2012 20:32 - di

Ore e ore per mettere a punto il decreto fiscale, quello destinato – non si sa quando e poco si sa come – a dare un attimo di respiro ai contribuenti. Non siamo certo al “Meno tasse per tutti”, di berlusconiana memoria, perché nel frattempo le stangate sono arrivate, è rispuntata l’Ici e sono aumentati tutti i prezzi, dalla benzina alle caramelle. Siamo invece al “vorrei ma non posso” del Consiglio dei ministri. O meglio, “al vorrei ma potrò tra parecchio tempo”. Ristrettezze e prudenza. Questi i vincoli forti con cui il governo dovrà fare i conti nella difficile partita che gradualmente, almeno nelle intenzioni, dovrebbe portare a un fisco tutto nuovo. Di abbassare le tasse, come detto, per il momento non si parla: le prime avvisaglie arriveranno solo con il 2014. Causa di forza maggiore, fanno sapere da Palazzo Chigi. Così il governo affronta la questione e si limita a mettere a punto un pacchetto di misure (su cui Monti fa sapere che concorda anche il presidente Napolitano reso partecipe con una visita appena prima del Cdm di ieri) che contiene una lenzuolata di semplificazioni, effettua una stretta sull’evasione e mette a fuoco i passaggi obbligati per arrivare alla riforma fiscale.

Gli stranieri non investono

È evidente che in una situazione come quella italiana, dove permessi burocrazia e regole incerte creano una barriera formidabile alla voglia di fare impresa, ben altro sarebbe stato necessario. La pressione fiscale è altissima e siamo al centoventottesimo posto su 183 nel «ranking» sulla semplicità dei pagamenti, quarantanovesimi per numero di versamenti, centoventitreesimi per la durata delle procedure. Zavorre che si uniscono all’alto costo del lavoro, a un’insufficiente rete infrastrutturale, a scuola e ricerca non sempre all’altezza. Nessuno si stupisce, quindi, che gli investimenti esteri nel nostro Paese, lo scorso anno, si siano fermati a 337 miliardi di dollari, contro i 614 della Spagna, i 674 della Germania, i 1.000 e passa della Francia e i quasi 1.100 del Regno Unito. La vita delle nostre imprese, oltre che dalle molte norme e da una burocrazia elefantiaca, è complicata anche dalla mancanza di materiale umano. Nel Paese i disoccupati crescono, ma molte aziende hanno difficoltà ad assumere. Nel 2010, infatti, sono mancati all’appello 19.700 ingegnari, 14.600 laureati in economia e statistica e 7.800 profili medico-sanitari, come conseguenza del numero di laureati di cui le imprese avevano necessità e quanti sono effettivamente usciti dalle facoltà delle nostre università. I numeri, che nascono da un’elaborazione di Confindustria su dati Eurostat, si rovesciano  quando si passa dalle specializzazioni scientifiche a quelle letterarie: 10.200 lauree di troppo.

Sgravi col contagocce

I primi a beneficiare dell’allentamento della pressione fiscale saranno i redditi bassi e le detrazioni per i familiari a carico. Se ne parlerà dal 2014, una volta consegutito l’obiettivo del pareggio di bilancio, ma tutto potrebbe rientrare se il target dei conti dovesse deragliare dal percorso tracciato. Intanto il governo istituisce un fondo da alimentare con i proventi della lotta all’evasione. Ad esso si attingerà quando si tratterà di mettere mano agli sgravi (nel 2014 con le cifre recuperate nel 2012 e nel 2013). Ma nessuno si faccia illusioni: in Italia ci vuole ben altro per tagliare le unghie all’esosità del fisco. Scompaiono i cosiddetti mini-debiti, nel senso che non verranno iscritti a ruolo, e quindi cesseranno di esistere, tutti quelli inferiori a 30 euro. Per i pignoramenti sugli stipendi, poi, viene posto il limite di un decimo, per buste paga inferiori a 2.000 euro, e di un settimo per quelle comprese tra 2.000 e 5.000 euro. Ma ci sono anche la chiusura d’ufficio della partite Iva inattive e un giro di vite sulle multe per la fuga di capitali (la sanzione passa dal 5 al 30 per cento). La misura più importante per imprese e professionisti, è la scomparsa dell’obbligo di comunicazione telematica al fisco di tutte le operazioni di compravendita superiori ai tremila euro (il cosiddetto spesometro) che verrà sostituito dal ritorno del vecchio elenco dei clienti e dei fornitori che deve essere trasmesso una volta l’anno.

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