Ambiente
Ue, target clima 2040 individuato e accordo raggiunto: -90% di emissioni nette con paracadute per industria e posti di lavoro
Intesa di Consiglio e Parlamento europeo sul clima per il 2040: obiettivo -90% di emissioni, ma con flessibilità (crediti internazionali al 5%) e l'inserimento del principio di neutralità tecnologica per salvare l'industria dal rischio delocalizzazione
Il 10 dicembre Consiglio e Parlamento europeo hanno chiuso l’accordo sul target climatico 2040: riduzione del 90% delle emissioni nette rispetto al 1990. Un obiettivo vincolante che arriva poche settimane dopo il “Global Mutirão” – lo sforzo collettivo invocato dalla COP30 di Belém – arenatosi sui veti incrociati. L’Europa ha deciso di fare da sola.
Clima e ambiente, chiuso l’accordo sul target climatico 2040
Ma la vera notizia sta nei dettagli. Chi si aspettava l’ennesima fuga in avanti ideologica è rimasto deluso. Il percorso è stato tutt’altro che scontato. Il 5 novembre i ministri dell’Ambiente avevano trovato una prima intesa dopo venti ore di negoziato notturno. Solo Polonia, Ungheria e Slovacchia avevano votato contro. Belgio e Bulgaria si erano astenuti. Il 13 novembre il Parlamento aveva adottato la sua posizione. Poi, nella notte tra il 9 e il 10 dicembre, Consiglio e Parlamento hanno trovato l’intesa definitiva.
Riduzione del 90% delle emissioni nette rispetto al 1990
La proposta originaria della Commissione prevedeva il 3% di crediti di carbonio internazionali: l’accordo ne riconosce il 5%, con un ulteriore 5% utilizzabile dagli Stati membri per i propri obiettivi nazionali post-2030. In pratica, la riduzione domestica effettiva potrebbe fermarsi all’80%. L’ETS2 – il sistema di scambio emissioni per edifici e trasporti – slitta al 2028. Donald Tusk era stato brutale: «Se entra in vigore così, tutti i governi europei cadranno». I biocarburanti entrano finalmente nel quadro normativo. E il principio di neutralità tecnologica viene riconosciuto: nucleare, cattura del carbonio, idrogeno – tutto sul tavolo, senza veti ideologici.
Clima e ambiente, l’Europa ha deciso di fare da sola: ecco perché
Le reazioni del fronte ambientalista più ortodosso erano scontate. «L’Ue dovrebbe dare l’esempio, non sfruttare le scappatoie», aveva tuonato Maria Grazia Midulla del WWF Italia già il 5 novembre. Ma cosa significa dare l’esempio? L’Italia produce il 2% della sua elettricità dal carbone, l’Europa il 10%. In Cina siamo oltre il 60%. Imporre vincoli così stringenti da spingere le produzioni fuori dai confini europei significa spostare le emissioni, non ridurle. Il carbon leakage non è un’invenzione dei lobbisti.
Le filiere che fanno girare l’economia reale non possono essere delocalizzate con un clic
L’accordo riconosce questa realtà e la necessità di tutelare i settori ad alta intensità energetica: acciaio, cemento, chimica, vetro, carta. Le filiere che fanno girare l’economia reale, quelle che danno lavoro a milioni di persone e che non possono essere delocalizzate con un clic. C’è poi la clausola di revisione biennale: la Commissione dovrà valutare periodicamente l’andamento del percorso e, se i costi per imprese e famiglie dovessero rivelarsi insostenibili, si potrà correggere la rotta. Non è un assegno in bianco, è un impegno con verifica incorporata.
Una sintesi difficile
È la conferma di un cambio di passo. Il Clean Industrial Deal di febbraio aveva già rimesso la salvaguardia del patrimonio industriale europeo al centro del dibattito. L’accordo del 10 dicembre ne è la traduzione legislativa. Un principio è stato affermato: la transizione ecologica si fa con l’industria, non contro l’industria. In un’Europa che fatica a trovare sintesi su quasi tutto, è già qualcosa.