Il rapporto Istat
Pochi figli, più immigrati, tanti soldi in meno per gli italiani: i flussi dall’estero danneggiano i conti (e la cultura)
Dall’Istat arriva la fotografia di un paese vitale sul fronte dell’economia e delle aspettative di vita, ma che sul fronte demografico non riesce a invertire il trend degli ultimi anni, nonostante le tante misure messe in campo dal governo per favorire le famiglie e la natalità. Le culle vuote degli italiani vengono sostituite da quelle degli immigrati arrivati da noi, con il risultato di determinare un annacquamento delle identità e della pregnanza culturale della nostra società, elementi che nulla hanno a che vedere con razzismo e xenofobia, ovviamente. Ma c’è anche un risvolto negativo economico: i costi di accoglienza e di integrazione sono superiori ai benefici occupazionali derivanti dai flussi.
I nati residenti in Italia sono, nel 2024, 369.944, in calo di quasi 10mila unità rispetto all’anno precedente (-2,6%), in linea con la variazione percentuale media annua registrata dal 2008 al 2023 (-2,7%). Il tasso di natalità continua quindi a scendere, attestandosi a 6,3 per mille, contro il 6,4 per mille del 2023. E’ quanto emerge dal censimento 2024 dell’Istat pubblicato oggi. La diminuzione dei nati è quasi completamente attribuibile al calo delle nascite da coppie di genitori entrambi italiani (-3,3%), che costituiscono i tre quarti (78,2%) delle nascite totali. Le nascite da genitori in cui almeno uno dei due genitori è straniero, quasi 81mila, pari al 21,8% delle nascite totali, sono stabili rispetto al 2023 (-0,2%). Tra queste, l’aumento dei nati da coppie miste (+2,3%) compensa la diminuzione dei nati da coppie di genitori entrambi stranieri (-1,7%).
Meno figli, più immigrati: rischi e opportunità
Il calo delle nascite è innanzitutto determinato dalla riduzione nel numero dei potenziali genitori: gli individui nati a partire dalla seconda metà degli anni Settanta in poi, cresciuti in un contesto di progressiva riduzione della fecondità, sono oggi nelle fasce di età considerate riproduttive. A questo fattore strutturale si aggiunge la continua diminuzione della propensione ad avere figli. Nel 2024 il numero medio di figli per donna continua a diminuire, passando da 1,20 del 2023 a 1,18, raggiungendo così un nuovo minimo storico, dopo il precedente registrato nel 1995 (1,19). La riduzione riguarda soprattutto le donne italiane (la cui fecondità scende da 1,14 a 1,11) mentre la fecondità delle donne straniere diminuisce solo lievemente (da 1,82 a 1,81).
Il calo della fecondità riguarda tutto il territorio nazionale. Il Centro registra la diminuzione più lieve ma rimane la ripartizione con la fecondità più bassa, pari a 1,11 (era 1,12 nel 2023) (Figura 5). Nel Nord-ovest la fecondità scende da 1,20 a 1,17 mentre nel Nord-est da 1,24 a 1,21. Nel Sud e nelle Isole, la fecondità è pari rispettivamente a 1,21 (da 1,24 del 2023) e 1,19 (era 1,23 nel 2023).
Le immigrazioni, in crescita del 2,7% sul 2023, sono pari a 451.583 unità nel 2024, mentre le emigrazioni (+19,2%) sono 188.903. Ne deriva un saldo migratorio positivo pari a +262.680, solo leggermente inferiore a quello del 2023 (+281.220). Il tasso migratorio con l’estero si attesta a +4,5 per mille. I movimenti migratori all’interno del territorio nazionale restano sostenuti, sebbene in diminuzione: nel 2024 i trasferimenti di residenza tra i Comuni italiani coinvolgono 1.385.016 individui (-3,4%).
I benefici in termini di occupazione e previdenza, relativi al maggiore afflusso di immigrati regolari e con ingressi contingentati, sono reali, ma anche le controindicazioni. Un aumento dell’1% nella quota di immigrati extra-UE, secondo recenti studi, riduce la produttività del lavoro dello 0,5% in Italia, poiché le imprese usano manodopera low-cost invece di investire in innovazione e automazione. Questo circolo vizioso frena la crescita a lungo termine, con aziende che privilegiano profitti immediati a scapito dell’efficienza strutturale. I costi per accoglienza, sanità e istruzione dei migranti sono saliti a miliardi annui (da 306 milioni nel 2011 a 3 miliardi nel 2017 per l’accoglienza), con un costo pro-capite di 30-35 euro al giorno in prima accoglienza. Pur con un saldo netto positivo stimato in 3,9-4,6 miliardi (grazie a contributi fiscali di circa 7.000-7.400 euro pro-capite), i flussi non selezionati amplificano le spese locali senza benefici proporzionali nazionale.
Migliorano le aspettative di vita
Nel 2024 i decessi sono 653.109 e, come nell’anno precedente, nel 52% dei casi riguardano donne e nel 48% uomini. Rispetto al 2023 si osserva una diminuzione di quasi 18mila unità (-2,7%) e il tasso di mortalità scende dall’11,4 all’11,1 per mille. Il numero di decessi ritorna quindi ai livelli precedenti la pandemia (634.417 nel 2019), dice ancora l’Istat. Nelle popolazioni caratterizzate da un progressivo invecchiamento, come quella italiana, il numero dei decessi tende strutturalmente ad aumentare, anche in caso di rischi di morte invariati da un anno all’altro, perché cresce il numero di individui esposti al rischio di morire. Quando ciò non si verifica, come accaduto nel 2024, si legge nel documento Istat, i fattori possono essere vari: un mutevole andamento delle condizioni climatico-ambientali, l’alterna virulenza delle epidemie influenzali da una stagione all’altra, oppure un eccesso di mortalità in anni precedenti che determina poi un calo (come è accaduto nel periodo pandemico e post-pandemico). In Italia, i picchi significativi della mortalità registrati negli ultimi 15 anni (nel 2012, 2015, 2017 e, soprattutto, nel 2020-2022) sono stati sempre seguiti da un calo dei decessi negli anni seguenti. oggi molto probabil