L'intervento
L’umiltà di Giorgia e le stramberie di Elly: nel discorso di Atreju c’è il senso profondo della vera politica
Nell’intervento della premier, tra le altre cose, è apprezzabile l’uso di una parola che nel discorso pubblico è molto abusata verso “gli altri”, ma è molto rara se riferita a se stessi: “errore”,la disponibilità a sbagliare. Senza errore non c’è politica. Il non sbagliare nell’agorà collettiva non esiste
“Perché guardavo sempre avanti e mi ha fatto bene guardare indietro”. (Cédric Klapisch, “La Venue de l’avenir”, “I colori del tempo”)
Lo so già; più di uno tra chi liberamente legge ciò che liberamente scrivo non sarà d’accordo: ma la riflessione più importante del discorso con cui Giorgia Meloni ha chiuso la festa di Atreju 2025, per me è quando dice “la responsabilità che ci è stata affidata non ammette atteggiamenti auto-assolutori”; laddove non si nasconde: “quando sei disposto a sbagliare, allora significa che consideri quello di cui ti occupi è più importante di te. Gli unici che non sbagliano mai sono quelli che vivono sotto coperta, e noi non siamo nati per questo”. E’ un passo di umiltà, una scarpinata nell’umanità. È anche un inaspettato pensare. In politica ce n’è bisogno, per combattere la ybris che, in dosi massime o piccole, il potere, anche ben esercitato, insinua nelle figure che hanno addosso grandi responsabilità.
L’umiltà di Giorgia
Ma “umiltà”, il cui etimo viene da “humus”, richiama il “basso”, lo stare con i piedi e con la testa su quella terra, dove la politica va nel quotidiano, tra la gente. È ciò che ci vuole. Aiuta. Anche per questo mi è parsa inappropriato, una stramberia, che Elly Schlein, cresciuta e formata nelle agiatezze della top class, intimi alla Meloni di uscire dal Palazzo: mentre la “premier pop” chiude una festa politica da centomila presenze, di ogni ceto e luogo; e per giunta aperta agli avversari, senza contraccambi dalla “rive gauche”. Nell’intervento della leader-premier ho soprattutto apprezzato l’uso di una parola che nel discorso pubblico è molto abusata verso “gli altri”, ma è molto rara se riferita a se stessi: “errore”; la disponibilità a sbagliare, a mettere il piede in fallo. In un discorso in cui la presidente del Consiglio vanta il fatturato dei risultati – veri: la ritrovata dignità nazionale, la stabilità, il rating, l’occupazione, la cucina italiana “mondiale” – lei inserisce una nota di insoddisfazione: «Una Nazione lungimirante investe sulla famiglia… Malgrado gli sforzi siamo indietro, dobbiamo fare di più”.
Anche i deficit costruiscono i grandi traguardi
La considero una medaglia, se la Meloni inserta di questa idea la sua intima agenda: la sacralità dell’errore politico; che poi è la “divinità” del limes, il possedere il senso profondo del proprio possibile. Non c’è attività pubblica o conduzione di governo, senza possibilità di sbagliare. Senza errore non c’è politica; il non sbagliare nell’agorà collettiva non esiste; tutti gli uomini e le donne che fanno “politics” e i loro “insiemi” – i partiti, le organizzazioni di massa, i capi – sono possessori di un tesoro di fallimenti; preziosi, da tenersi stretti, da custodire: sono “beni immateriali” dello spirito pubblico. Perché ai colpi fuori bersaglio, ne corrisponderanno altri centrati; a quelli non riusciti, ne seguiranno altri più fortunati. Nella concatenazione non casuale di atti e fatti, anche i deficit costruiscono i grandi traguardi: se si è capaci di ammettere e addomesticare i primi, arrivano i secondi. Se manca questa consapevolezza, non si può crescere, non ci si eleva: gli errori sono per ciò “divini”. Così è: a destra, come pure a sinistra, in ogni tempo e latitudine della politica.
“Sto a morì”: fatica e finitezza del “politico”
Lo è nell’umano esistere, di cui l’arte di governare uomini e popoli è metafora. Italo Rota, archistar italiano apprezzato nel mondo, nutriva un vero e proprio fascino per lo “sbagliato”, fino a ricercare l’“andare fuori asse con qualcosa di incongruo” nelle sue innovazioni: “…è quello che ho imparato in India, che bisogna sempre commettere un errore quando si fanno le cose… questo per me è vitale”. Un eccesso ? Forse, ma è un pensiero che, inquietando, stimola; anche a mettere nel conto e “perdonarsi” le possibili défaillance di un percorso; che non devono smorzare la marcia verso la meta. Sotto il prato fiorito dei successi, degli orgogli – giusti, legittimi, persino doverosi – la Meloni ha trasmesso un messaggio più sottile, sulla fatica del “politico”, sulla sua finitezza. È importante coglierlo. Quel conclusivo, troppo umano, “sto a morì”, ce lo rivela.