L'immaginario collettivo
E «come se fosse antani» irruppe alla Camera: il ricordo di Ugo Tognazzi per i 50 anni di “Amici miei”
Dalla gioventù spericolata alla burla sulle Br, la vita dell'attore è stata un racconto dell'Italia anche oltre le pellicole di cui fu protagonista. A mezzo secolo di distanza dalla saga di Monicelli, il conte Mascetti si conferma una delle figure più iconiche del nostro cinema
Cinquant’anni fa arrivava in Italia una pellicola che sarebbe entrata nell’immaginario collettivo italiano: Amici miei. La ricorrenza è stata celebrata anche alla Camera, con un’iniziativa voluta dal presidente della Commissione cultura, Federico Mollicone, che ha chiamato a raccolta attori, studiosi e rappresentanti del settore, riuniti per ricordare il talento di Ugo Tognazzi, fuoriclasse cremonese capace di passare con naturalezza dal comico al drammatico e di lasciare un segno profondo nella cultura nazionale.
I 50 anni di “Amici miei”: un tributo oltre l’esercizio celebrativo
L’anniversario evidenzia come la figura del conte Mascetti, interpretato da Tognazzi con straordinaria naturalezza, resta una delle più iconiche del nostro cinema, simbolo di una leggerezza che non rinuncia mai alla consapevolezza del tempo che passa. Il tributo ha offerto anche l’occasione per riflettere sulla modernità ancora sorprendente di Amici miei (ma non solo), capolavoro di Monicelli che unisce comicità, malinconia e uno sguardo lucido sulla condizione umana. L’omaggio a Tognazzi non è stato solo un esercizio celebrativo, ma un invito a rileggere un’eredità culturale che continua a ispirare nuove generazioni e a testimoniare la forza narrativa del cinema italiano.
Vita spericolata di Ugo Tognazzi
Ottavio Tognazzi, in arte Ugo, classe 1922, fece il primo esordio teatrale a 4 anni, a Bergamo; durante l’adolescenza, nel tempo libero recitava in una filodrammatica del dopo lavoro aziendale nel quale lavorava, il salumificio Negroni. Durante la guerra, proseguì seguendo la propria passione: arruolatosi nella marina della Repubblica Sociale Italiana, si dedicò ad organizzare spettacoli per i commilitoni. Con Tognazzi, l’indimenticabile Walter Chiari: anche lui repubblichino arruolatosi prima nella X Mas e poi nella Wermacht (Chiari fu in Normandia il giorno dello sbarco), condussero insieme programmi su Radio Fante per tenere informate le truppe della Rsi e, sempre insieme, furono autori di vignette umoristiche sul settimanale L’orizzonte della Decima Mas.
Terminata la guerra, Tognazzi si dedica anima e corpo alla recitazione prima al teatro e poi, nel ’50, al cinema. È il 1951 l’anno della svolta: dall’incontro con un altro repubblichino, Raimondo Vianello, nasce una coppia comica di grande successo; Tognazzi con atteggiamenti più vicini al popolo, Vianello con modo di fare più british, creeranno una contrapposizione esilarante, completandosi a vicenda. Nella democratica Italia del 1959, la loro satira sul presidente della Repubblica Giovanni Gronchi fatta nel programma Un due tre non piacque, e furono vittime di una reale censura e conseguente cancellazione del programma. Chissà cosa direbbero coloro che oggi si lacerano le vesti sostenendo che l’Italia del 2025 censura i giornalisti.
Quando il cinema favoriva una più matura consapevolezza storica
Gli anni ’60 sono quelli che consegneranno definitivamente Tognazzi al grande schermo. Nel 1961, insieme a Vianello e Chiari, girano insieme I magnifici tre, nome che verrà poi sempre usato per far riferimento al divertentissimo trio. Altri film di successo di quegli anni come Il Federale (1961) e La marcia su Roma (1962) servirono, come osserva Gian Piero Brunetta in Storia del cinema italiano (1993), a sedimentare nella società italiana un nuovo sguardo sul Ventennio e sul dopoguerra, favorendo una più matura consapevolezza storica. E l’accoglienza fu clamorosa. Quello che emerge dalle cronache dell’epoca, paragonate alle cronache di oggi, è che negli anni ’50-’60, vi era sicuramente meno astio nei confronti del Ventennio di quanti non ce ne siano oggi: allora non vi era la necessità politica di storicizzare un fenomeno di per sé storicizzato; oggi, vi è la necessità di alimentare uno spauracchio con finalità prettamente elettorali e non politiche.
La burla sulle Br per riportare leggerezza in un periodo dominato da tensioni politiche drammatiche
Fu sempre con Vianello, poi, che Tognazzi si rese protagonista dello scherzo più brillante e riuscito della storia repubblicana. È il 1979, l’Italia è terrorizzata dalla Brigate Rosse. Vi è paura a uscire di casa, paura di attentati, sparatorie, bombe. Un anno dopo l’omicidio di Aldo Moro, contemporaneamente agli arresti del 7 aprile 1979 di brigatisti e appartenenti ad Autonomia Operaia, edizioni parodistiche del Giorno, de La Stampa e di Paese Sera vennero diffuse con titoli che attribuivano all’attore il ruolo di presunto capo («grande vecchio») delle Brigate Rosse. In quei giorni diversi quotidiani ipotizzavano che i «capi occulti» delle Br avessero finto la dissoluzione di Potere Operaio per continuare a sostenere la lotta armata sotto la sigla di Autonomia Operaia. Il Male trasformò la vicenda in una provocazione satirica, aggiungendo: «Ricercato Vianello, la coppia finse lo scioglimento dai tempi di Un due tre». Commentando successivamente l’episodio, Tognazzi spiegò che, pur in un periodo dominato da tensioni politiche drammatiche, aveva semplicemente voluto difendere il proprio bisogno di leggerezza. Una bella supercazzola, insomma.
Ugo Tognazzi nelle memorie di chi l’ha conosciuto
Tornando agli anni ’60 e ’70, nel corso della celebrazione si sono avvicendati i ricordi e le testimonianze, professionali e soprattutto personali, di giganti del cinema italiano, da Liana Orfei a Barbara Bouchet, da Michele Placido a Milena Vukotić, da Marco Risi ad Alessandra Celi, figlia del celebre Adolfo che, nella fortunata serie Amici Miei, interpretò il prof. Alfredo Sassaroli. Commovente un ricordo inedito di Tognazzi, recuperato dal figlio Ricky, fatto da Ornella Vanoni, venuta a mancare il 21 novembre scorso.
Un simpatico provocatore anticonformista
Il profilo di Ugo Tognazzi emerso grazie a questi ricordi e a quelli dei figli Gianmarco e Ricky, durante il convegno condotto da Enrico Magrelli, non è difforme da quanto si vedeva nelle sue opere, quello di un simpatico provocatore anticonformista ma timido, profondo e melanconico, che per recitare bene doveva non recitare ma semplicemente essere sé stesso. L’Italia alla quale parlava era semplice e in rinascita. I temi erano diretti e sicuramente non borghesi: furono non poche le critiche che arrivarono dall’Italia più aristocratica e bacchettona per gli eccessi messi su schermo e per i tabù che andava ad infrangere, come quelli, per noi pane quotidiano, del semplice uso della parolaccia o dei doppi sensi più o meno espliciti.
La medaglia della Camera al conte Mascetti, citando «antani»
Una carriera brillante condotta da una persona ancor più brillante, che Mollicone ha voluto premiare consegnando alla famiglia la prestigiosissima medaglia ufficiale della Camera dei deputati alla memoria leggendo la motivazione «A Ugo, monumento della commedia all’italiana, per la sua insuperabile maestria nell’aver saputo spaziare dal grottesco al dramma, interpretando con geniale ironia tagliente le contraddizioni del vuoto esistenziale dell’intera epoca. La sua arte fatta di espressività unica e di una continua ricerca di innovazione rimane un patrimonio culturale inestimabile per l’Italia e per il mondo. È brematurata la convinzione come fosse antani e tapioca per la supercazzora d’onore a Ugo Tognazzi». Con questa iniziativa, Mollicone conferma il suo impegno nel valorizzare la memoria artistica italiana e nel rafforzare il legame tra istituzioni e mondo creativo. Una serata piacevole, frizzante e profonda alla memoria di uno dei padri del nostro patrimonio culturale del secondo dopoguerra.
