CERCA SUL SECOLO D'ITALIA

Il Pd costretto alle acrobazie sul voto nelle regioni. In foto, Taruffi, Boldrini, Boccia

Analisi del voto?

Il coro del Pd costretto a conti acrobatici per rivendicare la vittoria: 10 regioni in fila per sei col resto di due…

Politica - di Sveva Ferri - 24 Novembre 2025 alle 18:22

Il voto in Veneto, Campania e Puglia non ha fatto altro che confermare l’assetto precedente: il Veneto è rimasto al centrodestra, Campania e Puglia sono rimaste al centrosinistra. Era un esito ampiamente atteso, ma a leggere i commenti a caldo dell’opposizione sembra che sia partita la rivoluzione.

La convinzione di Renzi: «L’alternativa c’è»

Il primo a usare questi toni è stato Matteo Renzi. «Sono mesi che ci ripetono un ritornello stanco: Giorgia Meloni non ha rivali, è invincibile, non ha alternative. I risultati di Campania e Puglia, dopo la Toscana, dicono invece che l’alternativa c’è, da Casa Riformista fino alla sinistra. E questa alternativa, quando è unita, vince. Da domattina Giorgia Meloni proverà a cambiare la legge elettorale. Perché con questa legge elettorale lei a Palazzo Chigi non ci rimette più piede», ha sostenuto il leader di Italia Viva.

Il M5s tramortito, il Pd trionfante

E, se il M5s a caldo rimane silente probabilmente tramortito dalla debacle delle sue liste in tutti i territori, è il Pd a prodursi nelle analisi più trionfanti sul fatto che questo voto dimostrerebbe che «l’alternativa c’è», anche a costo di affidarsi a bizzarri calcoli e improprie sovrapposizioni. A prodursi in dichiarazioni di vittoria sono stati in molti: Dario Nardella, Laura Boldrini, Andrea Orlando e tanti altri dem, il cui mantra grosso modo si riassume in «Meloni perde, noi vinciamo». Gli schleiniani di stretta osservanza ne hanno approfittato poi per puntellare la posizione della segretaria, per la quale è annunciato da tempo il redde rationem interno al termine di questa tornata elettorale.

Ma i dem sono costretti a conti acrobatici

Per loro in particolare è stringente la necessità di rivendicare una vittoria piena e non legata solo all’esito scontato di oggi. In questo senso, è utile leggere le dichiarazioni del responsabile responsabile organizzazione del Pd e fedelissimo di Elly Schlein, Igor Taruffi, per il quale «se mettiamo insieme il voto delle ultime 10 elezioni regionali, il Pd è il primo partito con 2 milioni e 200mila voti e FdI si ferma a un milione e 700 mila. Il centrosinistra è davanti al centrodestra. Questi sono i numeri nelle 10 Regioni in cui si è votato. Vedremo oggi i risultati delle tre Regioni al voto. Su 13 Regioni si partiva da 9 a 4, finiamo 7 e 6. Chi governava ha sempre vinto tranne che in due occasioni in cui il centrosinistra ha strappato Sardegna e Umbria al centrodestra».

Il coro del Pd: 10 regioni in fila per sei col resto di due…

Non è chiaro che calcoli faccia Taruffi e con lui il capogruppo al Senato, Francesco Boccia, che li rilancia. O meglio, è chiarissimo: considera solo i dati che gli fanno comodo. Infatti, dal 2022 a oggi sono andate a rinnovo tutte le regioni, dunque 20, con un esito finale di 14 per il centrodestra (13 presidenti eletti direttamente, compreso quello della provincia autonoma di Trento, e la maggioranza tra i partiti nazionali in Valle d’Aosta) contro 6 per il campo largo. Di queste sei regioni, cinque (Toscana, Emilia Romagna, Campania, Puglia e Umbria) sono tradizionalmente roccaforti rosse, la sesta, la Sardegna, è una regione a fortissima mobilità politica. Dunque, quel computo di Taruffi di 7 a 6, a guardarlo bene, non è poi così trionfale: la tradizione del voto della Sardegna parla di una costante alternanza tra destra e sinistra; quella dell’Umbria poi è una inossidabile sequenza monocromatica, interrotta per la prima e ad oggi unica volta nella storia la scorsa legislatura dalla leghista Donatella Tesei, dopo uno scandalo giudiziario che aveva travolto la precedente giunta.

La sovrapposizioni tra voto alle regionali e collegi uninominali

Ma è soprattutto la sovrapposizione che Taruffi fa tra voto regionale e voto nazionale a rilanciare il suono di chi si sta arrampicando sugli specchi. Dal voto alle regionali emergerebbe che «rispetto al 2022 i numeri dei collegi uninominali sono ribaltati ed è per questo – ha detto – che Giorgia Meloni vuole cancellare gli uninominali con un proporzionale con premio di maggioranza». In sostanza, Taruffi non solo fa il gioco delle tre carte sulle regioni andate al voto da quando Giorgia Meloni è al governo e accavalla voto regionale e voto nazionale come se fossero la stessa cosa, dopo che a seconda della tornata da sinistra ci ricordavano con maggiore o minore convinzione che le due situazioni non andavano confuse, ma ora arriva a estendere il ragionamento anche ai sistemi elettorali.

I sondaggi nazionali confermano che «l’alternativa» resta un miraggio

E, insomma, per rivendicare una vittoria a sinistra sono nuovamente costretti a rilanciare tesi acrobatiche, aggrappandosi a un trapezio quanto mai scivoloso. Tanto più che in questa giornata, il consueto sondaggio Swg per La7 conferma che il quadro a livello nazionale resta immutato: FdI è al 31,6%, il Pd al 22,3%, il M5S al 12,5%, FI al 7,9%, la Lega al 7,7%, Avs al 7%, Azione al 3,3%, Iv al 2,5%, +Europa all’1,4% e Noi moderati all’1,2%

 

Non ci sono commenti, inizia una discussione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

di Sveva Ferri - 24 Novembre 2025