Parla Francesca Scopelliti
Enzo Tortora, la vedova dice sì al referendum sulla giustizia: “I magistrati sapevano di avere davanti un innocente” (video)
“Sono felice di questo sprint finale per il sì alla separazione delle carriere. Nel nome di Enzo”. Lo afferma in un’intervista a La Stampa, Francesca Scopelliti, vedova di Enzo Tortora, giornalista ed ex senatrice.
“Sono impegnatissima per convincere i cittadini che questo è finalmente il momento di inizio per avere una giustizia più giusta” aggiunge. “Questa riforma – afferma – non è contro i magistrati, ma in loro favore. Perché, come diceva Enzo, scinde i giudici di potere dai giudici di giustizia. Ha vissuto proprio sulla sua pelle la familiare complicità tra la procura e la Corte”.
Il tono “arrogante” dei giudici
E sulla vicenda Tortora ribadisce: “Il crimine è proprio nella consapevolezza di avere di fronte un innocente. Lo sapevano e lo hanno perseguito comunque. Enzo era noiosamente pulito. La classica persona per bene che paga le multe e non evade le tasse. A quel punto lo hanno costruito camorrista con l’aiuto di ben diciotto pentiti che trovarono nel carcere di Paliano, proprio dove c’era il famoso pentitificio”. “Durante l’interrogatorio, condotto con tono arrogante, i magistrati gli mostrano una lettera” aggiunge, nella quale era scritto “‘Caro Tortora, la roba che le abbiamo mandato non è stata pagata e nemmeno restituita’”. La firma “era di Domenico Barbaro, ma l’estensore era Giovanni Pandico, uno dei pentiti che lo accusava. Enzo, la risposta la trovò tra i suoi carteggi e diceva così: ‘I suoi centrini non si trovano più, però l’ufficio della Rai la rimborserà adeguatamente'”.
Enzo Tortora e il calvario giudiziario: il referendum sulla giustizia è il primo passo
La consegnò alla procura: “Certo. A quel punto ci fu il silenzio: il cancelliere smise di scrivere, i magistrati di parlare. Avrebbero dovuto chiedere scusa”. Invece lo mandarono a processo. “E uno dei pm gli disse: ‘Beh Tortora, buona fortuna’” afferma ancora Scopelliti. Questa riforma, conclude, “non è la panacea di tutti i mali della giustizia, ma è un primo passo che dimostra che il potere legislativo può correggere le distorsioni di un ordine fondamentale come quello di chi amministra la giustizia”.