È bagarre alla Camera
Educazione sessuale a scuola, se la sinistra è Sparta e la destra è Atene
Mentre la sinistra spinge per un modello statalista e omologante, la maggioranza rivendica il diritto dei genitori di guidare l’educazione dei figli
Sparta era il luogo in cui lo Stato sottraeva i giovani alle famiglie, omologandoli attraverso un percorso educativo uniforme e collettivo. Atene, al contrario, fondava la crescita dei ragazzi sulla famiglia, sulla libertà, sull’individualità e sulla responsabilità condivisa. È la stessa contrapposizione che è emersa nel dibattito sul disegno di legge che disciplina l’educazione sessuale nelle scuole: un’impostazione spartana da una parte, una visione atenese dall’altra. E proprio guardando a ciò che è accaduto ieri, questo parallelismo si rivela quanto mai calzante.
La proposta del governo
Il governo ha presentato una norma che introduce una disciplina chiara: le attività di educazione sessuale possono svolgersi nelle scuole medie con il consenso espresso delle famiglie. Una previsione semplice, che riafferma il ruolo centrale dei genitori nei percorsi formativi più delicati.
Per la sinistra le famiglie non sono in grado di decidere
L’opposizione ha reagito salendo sulle barricate, sostenendo che le famiglie italiane non sarebbero adeguate a orientare i figli su questi temi. Da qui una lunga serie di rilievi: in passato molte famiglie avrebbero limitato l’accesso dei ragazzi alle informazioni e, per questo, le scuole dovrebbero gestire la materia indipendentemente dalla volontà dei genitori.
Secondo la sinistra, gli studenti dovrebbero accedere alle informazioni secondo le modalità decise dagli istituti, anche se le famiglie fossero contrarie. Una posizione che separa genitori e figli su questioni particolarmente sensibili, soprattutto considerando che si parla di ragazzi tra gli undici e i quattordici anni.
Altro tema agitato dall’opposizione è stato il rischio che i giovani, in assenza di un percorso scolastico obbligatorio, si rivolgano ai social per informarsi. Da qui l’accusa secondo cui il provvedimento ridurrebbe la consapevolezza dei ragazzi, esponendoli a contenuti incontrollati. Una riduzione che, secondo la stessa sinistra, inciderebbe non solo sui rischi sanitari legati alle malattie sessualmente trasmissibili, ma anche sulla prevenzione della violenza di genere.
La replica del ministro Valditara
La replica del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara è stata ferma. Il testo del ddl, ha ricordato, richiama esplicitamente le indicazioni nazionali, che già prevedono l’educazione alle differenze sessuali, alla conoscenza degli apparati e delle funzioni riproduttive, allo sviluppo puberale e ai rischi delle malattie sessualmente trasmissibili. «Chi ha detto che noi neghiamo questo ha raccontato una colossale balla», ha dichiarato il ministro.
I risultati dell’educazione civica
Valditara ha poi illustrato i dati dell’educazione civica: la quasi totalità delle scuole superiori ha attivato corsi dedicati al rispetto e alle relazioni, e nel 70 per cento dei casi i docenti hanno rilevato un’evoluzione positiva nei comportamenti degli studenti. A ciò si aggiungono i percorsi di formazione avviati con Indire e l’inserimento, nelle nuove indicazioni nazionali, degli obiettivi di educare all’empatia relazionale e al contrasto della violenza di genere.
Le polemiche in Aula
Il momento più acceso è arrivato quando l’opposizione ha contestato al ministro l’uso della parola “vergognatevi”. Una reazione che stride con ciò che accade ogni giorno in Aula: il “vergognatevi” scandito con il ditino puntato è la colonna sonora dei banchi della sinistra, ripetuto decine di volte al giorno insieme al consueto repertorio di “incapaci”, “incompetenti”, “inadeguati”. Una prassi quotidiana che rende davvero singolare l’indignazione mostrata ieri.
Le parole della deputata Urrico
Nella stessa seduta si è verificata una scena che merita di essere ricordata per intero: la deputata Urrico ha dichiarato rivolgendosi alla maggioranza «Voi credete che nelle scuole si parli di teoria gender! Una teoria che esiste soltanto nelle vostre menti malate e malsane». Un’espressione infinitamente più aggressiva e offensiva del “vergognatevi” contestato al ministro, accompagnata da risatine di scherno rispetto al tiepido richiamo del Presidente di turno.
La pentastellata: “Il sesso è naturale”
A ciò si è aggiunto il siparietto della deputata Appendino, che ha affermato: «…perché il sesso è naturale, lo facciamo tutti. Io lo faccio, lo dico qui, e sono sicura che tanti hanno il coraggio di dire che lo fanno». Un’uscita che ha trasformato un tema delicato in una banalità fuori luogo, riducendo la complessità dell’educazione sessuale a un’esibizione personale priva di qualsiasi rilevanza educativa.
La sinistra dà i numeri
Ancora più sorprendente è stato lo sfondone dell’onorevole Quartini, medico, secondo cui undici anni sarebbe l’età media del primo rapporto sessuale. Un’affermazione che tradisce la volontà di diffondere allarmi immotivati e di abusare delle parole, contribuendo a deformare il dibattito su un tema che richiede rigore, equilibrio e responsabilità.
Ne emerge un quadro nitido. Da una parte la sinistra, che continua a immaginare una scuola chiamata a sostituire le famiglie nel loro ruolo naturale, riproponendo in chiave attuale un modello educativo di derivazione comunista: centralizzato, omologante, fondato sull’idea che lo Stato debba formare il “nuovo cittadino” al posto dei genitori. Dall’altra parte la maggioranza difende un’impostazione radicalmente diversa, che rimette al centro la libertà educativa, il rapporto tra genitori e figli, la crescita armonica e responsabile delle nuove generazioni. È questa la scelta che oggi si impone: continuare sulla strada di un’educazione statalizzata, eredità delle pedagogie collettiviste, oppure ribadire un modello in cui la scuola accompagna e la famiglia guida. Il futuro educativo del Paese si decide qui.