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Italia in prima fila all’appuntamento con la storia: un successo firmato Giorgia Meloni

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Italia in prima fila all’appuntamento con la storia: un successo firmato Giorgia Meloni

L'Editoriale - di Antonio Rapisarda - 14 Ottobre 2025 alle 07:55

«La guerra è finita». Non avrà ricevuto (ancora) il premio Nobel per la pace ma l’intesa firmata ieri a Sharm el-Sheikh è il sigillo di un’impresa diplomatica ancora più grande: potenzialmente destinata ad entrare nella storia. Per Donald Trump è stata una giornata campale, densa di riconoscimenti e di impegni vincolanti: dall’ovazione alla Knesset, il parlamento israeliano, dove ha decretato davanti a Bibi Netanyahu (non proprio un dettaglio) la fine del conflitto, all’intesa sul futuro di Gaza, stipulata in Egitto, assieme ai mediatori arabi e alla delegazioni dei principali partner europei e internazionali. Senza dimenticare l’aspetto umano: la commozione davanti alle parole dei familiari degli ostaggi di Hamas che non hanno smesso un attimo di ringraziarlo per aver permesso il ritorno a casa dei loro cari, dopo più di 730 giorni di feroce prigionia.

È indubbio che il piano di pace fra Israele e Hamas sia la carta più importante del secondo mandato Trump in politica estera: allo stesso livello di quella ucraina, non a caso ieri rilanciata dal presidente americano durante il suo discorso a Tel Aviv. Un primo mattone, e che mattone, per la complessa normalizzazione dei rapporti fra israeliani e palestinesi, su cui hanno fallito i suoi predecessori, che inaugura una nuova stagione per gli Accordi di Abramo al grido di “c’è spazio per tutti”. Persino per l’Iran (depotenziato, a suon di bombe, dell’opzione nucleare e senza più proxy in grado di offendere). «Invece di fortezze costruire infrastrutture», è quello che vede nel futuro dei rapporti nell’area: un auspicio retorico, certo, ma che rivela la traccia sommersa del carattere e dei desiderata – gli immancabili buoni affari – dell’inquilino della Casa Bianca nella regione. Un modo per ristabilire le gerarchie e il primato americano: altro che disimpegno.

Con questa intesa che mette un primo, fondamentale, stop al conflitto la destra trumpiana ha dimostrato di avere un’idea di Medio Oriente ma anche del ruolo degli Stati Uniti davanti alle tante crisi della cosiddetta «terza Guerra mondiale a pezzi». Parlano i rapporti di forza, la forza stessa come deterrente, la pace costruita con la forza, certo. Ma questo principio – nella ricetta di Donald – è accompagnato dai rapporti di collaborazione, da progetti di sviluppo e da dosi massicce di realismo: senza operazioni di “regime change” o campagne – più o meno idealiste e liberal – sterminate che portano solo ulteriore destabilizzazione e, per eterogenesi dei fini, pericolose incursioni di potenze concorrenti proprio all’equilibrio auspicato dal fronte occidentale.

Sull’accordo di pace Trump ha incontrato l’approvazione e il sostegno senza cedimenti o balbettii dell’Italia che così entra di diritto fra i “ricostruttori” del nuovo Medio Oriente. Giorgia Meloni in Egitto, unica donna del formato a Sharm, può rivendicare di aver tenuto la barra dritta sulla soluzione diplomatica, ottenendo così il rispetto di tutti gli attori e soprattutto la fiducia delle due parti in causa. È chiaro che ciò comporterà non un semplice dividendo di immagine internazionale ma un ruolo attivo nella risoluzione del conflitto e un passo fondamentale verso l’obiettivo della soluzione dei «due Stati»: con tutti gli interessi nazionali annessi all’equilibrio mediorientale. Cos’è, questo, se non lo storico ruolo dell’Italia nello scacchiere del Meditarraneo?

Sempre più in crisi, invece, la sinistra globale. Aggrappata come a un feticcio a un multilateralismo “decorativo” fuori uso ormai da tempo. Ancora scottata, poi, dalla stagione targata  Obama: la cui contraddittoria politica estera, soprattutto nel Maghreb e in Medio Oriente, tutto può essere giudicata fuorché un successo. La sinistra italiana, se è possibile, sta ancora peggio: in pieno stato confusionale. Troppo l’odio e il pregiudizio nei confronti di Trump per comprendere le dinamiche che hanno portato a un accordo di tale portata: figuriamoci saper recitare un minimo ruolo da opposizione responsabile.

Il campo progressista – invece di seguire la via diplomatica, cercando di accreditarsi come “l’altro” attore nazionale di una svolta epocale per il Medio Oriente – ha rincorso gli avventurismi di Macron, poi le sparate di Francesca Albanese, infine la piazza con venature antisemite dei giovani palestinesi e dei radicali dell’Usb. Risultato? Come al solito Schlein & co sono finiti fuori pista. E così se l’Italia è arrivata puntuale all’appuntamento con il resto del mondo, ancora una volta, è stato merito della rotta indicata da Giorgia Meloni.

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di Antonio Rapisarda - 14 Ottobre 2025