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Un’azione di Dario Hübner, uno dei 13 “bomber di provincia” raccontati da Emanuele Atturo

Il libro

Chiedimi chi erano Hübner, Flachi e Protti: “Il mito dei bomber di provincia” risponde con un almanacco sentimentale

Il saggio di Emanuele Atturo su 13 campioni del passato è un viaggio per ritratti e aneddoti in un calcio che non esiste più e che molti vorrebbero ci fosse ancora. Un "ce l'ho, ce l'ho, mi manca" che racconta gesta epiche e vite straordinarie in cui ancora ci si poteva riconoscere

Libri - di Lorenzo Cafarchio - 19 Ottobre 2025 alle 07:00

Ce l’ho, ce l’ho, mi manca. Il mantra dei bambini di ogni generazione davanti all’album di figurine, il mito del calcio che ritorna senza sosta e unisce la triade nonni, padri e figli. Certo a ognuno il suo, la sua dimensione, i suoi campioni, ma soprattutto il grande classico del pallone di ieri certamente meglio di quello odierno.

“Ma vuoi mettere (inserire formazione a scelta del passato) oggi dove arriverebbe?”. Quante volte abbiamo pronunciato o sentito pronunciare questa frase. Ora però stringiamo il campo, come in uno contro uno con destinazione la rete da gonfiare e concentriamoci sui centravanti che hanno segnato le ultime quattro decadi. Chi vi viene in mente? Certo CR7, Ronaldo il fenomeno, Gonzalo Higuain, Ciro Immobile, Marco van Basten e chi più ne ha più ne metta. Ma Emanuele Atturo, redattore di Ultimo Uomo, ha fatto la giocata (manco fosse De Bruyne) letteraria di questi mesi e ha mandato in libreria, edito da Einaudi, il testo Il mito dei bomber di provincia. Un almanacco sentimentale (236 pp.; 16,00€).

Il volume è proprio come ve lo immaginate. Ci sono tredici discepoli del goal che dallo Strapaese – con la S maiuscola come piacerebbe a Longanesi – hanno segnato un’epoca. Una retromania, per dirla alla Simon Reynolds, quella della pelota dell’altro ieri che «spappola il tempo, lo rende spongiforme» e quindi ci fa cadere nella sua trappola. In questa ossessione, spasmodica, per il passato capace di portarci sempre lì davanti a YouTube, estraniandoci dall’orizzonte in cui viviamo, per galleggiare nell’orbita dei furono bomber.

Di chi parliamo quindi? Di Dario Hübner partendo dalla tournée del maggio 2002 che fece negli States col Milan. Uno spazio-tempo andato perduto, ma che ha incrociato la nostra linea temporale. Pensare che con lui c’erano Conticchio, Tonetto e Savino emblemi del Lecce di inizio millennio. Uno che ha spinto, sulle colonne del Manifesto, Darwin Pastorin a scrivere: «Dov’erano i nostri dirigenti che giravano il pianeta con il portafoglio pieno alla ricerca di stranieri più o meno bravi? Dov’erano, mentre Hübner se ne stava in B?».

Erano qui nel mezzo in cerca di solide certezze, ma senza la volontà di incrociare il grande altro ovvero il goleador venuto dal nulla. C’è Pasquale Luiso, detto il Toro di Sora, che ha giocato a calcio in un perenne kaioken, licenza da Dragon Ball, al limite dell’umana sopportazione. Dove l’errore non è concesso e se arriva lo sfogo è a ciclo continuo contro sé stesso. Il centravanti che attacca «con la medaglietta di Padre Pio sotto la maglia e una grossa cicatrice in faccia». Giorgio Corona invece «è culto, una setta». Quello che si arrotola il pantaloncino fino a farlo scomparire, nascosto nelle mutande. Un vezzo che però porta al goal, in una vita regolare dove non esistono divertimento e discoteche. Uno di quelli che la maglia la suda glorificandola, proprio come piace agli ultras.

Massimo Coda, recentemente, gli ha preso il record di segnature in serie B, ma Stefan Schwoch è l’occhio che giudica ancora, mentre Francesco Flachi resta quello che poteva essere e che invece ha voluto essere metà. Spasmodico nelle giocate e nelle scelte, rapido di gambe e di testa, caduto nella cocaina eppure eterno ed etereo con la maglia della Sampdoria. Un tipo di calciatore totalmente “aneddotico” – categoria che solo la tecnologia ha fatto scomparire, perché tutto risulta visibile secondo dopo secondo e nulla più si tramanda attraverso il passaparola – mentre il suo eco fin da quando era bambino echeggia ancora. Igor Protti tra Bari e Livorno ha vestito anche la maglia della Lazio. La gloria l’ha scoperta, in Puglia, diventando l’unico capocannoniere della serie A a retrocedere, mentre l’eternità l’ha incontrata con la casacca labronica. Perché se dici Lo Zar dici la città di Mascagni e Modigliani. Un passo ancora verso l’istinto killer di Sandro Tovalieri, le rovesciate di Riccardo Zampagna, Francesco “Ciccio” Tavano da Empoli e Andrea Caracciolo, l’airone con v sul petto sinonimo di e del Brescia.

Proseguono le pagine e sono una calamita. Ogni bomber è immortalato, anche, in un disegno che racconta tutti i suoi particolari. «In patois, la lingua francoprovenzale valdostana, significa “pellicciaio”». Chi stiamo per introdurre? Ma certo l’unico spaccaporte – 112 goal in A con la maglia del Chievo Verona – che viene dalla Valle d’Aosta: Sergio Pellissier. Luigi Castaldo, invece, per dirla seguendo i dettami dell’istrionico allenatore Eziolino Capuano è «un misto tra Cavani e Gomez, o forse anche un po’ Van Persie». Troppo? Chiaramente se non avete mai visto il campano, profeta dell’Avellino, indossare la 10 e diventare «il giocatore prometeico, colui che deve portare il fuoco agli umani».

Infine è il turno di Christian Riganò che a 23 anni faceva il muratore e giocava in Eccellenza a Lipari. E lì, a largo di Messina, calciatori non ne nascono, forse qualche tecnico, chiedere a Franco Scoglio, ma di prime punte? E così rete dopo rete ha scalato tutte le categorie con un unico mantra “Dio perdona Riga Nò”. Giocatori che sono stati la nostra adolescenza e di cui abbiamo vestito i panni a calcetto o in campi polverosi. Alla fine li ricordiamo perché loro sono noi, sono quello che avremmo potuto essere se la devozione verso la sfera ci avesse chiesto ogni cosa. E mentre il pallone rimbalza ancora ripensiamo al tocco di questi tredici, o dei mille altri centravanti che hanno segnato il nostro tifo, che ci rende infanti per sempre.

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