
Una minaccia reale
Commando islamico pronto a sparare sulla Festa di Santa Rosa: l’attentato sventato con un’operazione da film
I Nocs hanno arrestato due turchi in un B&B lungo il percorso del Trasporto: avevano armi da guerra. Le autorità sono riuscite a non far trapelare nulla per evitare il panico tra la folla. Solo un dettaglio è stato modificato, e non è passato inosservato
La città era in festa, ignara. Le vie di Viterbo traboccavano di gente, quarantamila volti rivolti in alto, tra cellulari accesi e applausi scanditi a ogni passo della Macchina di Santa Rosa. Ma due presenze avevano altre intenzioni: le forze di polizia hanno arrestato due terroristi turchi legati all’Isis-K, pronti a entrare in azione con un attentato contro la folla. La festa si è svolta così sotto l’occhio vigile e discreto dei Nocs, con tanto di tiratori scelti pronti ad agire dopo la scoperta della minaccia. Non era un esercizio di stile, né un eccesso di zelo. Era un piano d’emergenza scattato senza creare allarme tra i tanti viterbesi e turisti in strada per celebrare la più importante festa cittadina: chi era in piazza non si è accorto di nulla. Sono state poi le cronache a far sapere del pericolo corso.
Gli attentat0ri nel B&B: “Il pericolo era concreto”
Poco prima delle 18, la Squadra Mobile ha fatto irruzione in un B&B di via di Santa Rosa, esattamente nell’ultimo e più sentito tratto del Trasporto. Due uomini di origine turca sono stati ammanettati senza che nulla filtrasse all’esterno. Nella stanza: una mitragliatrice e due pistole cariche. «C’è stato un pericolo concreto», ha ammesso, solo dopo, la sindaca Chiara Frontini.
Armi pronte a sparare, un terzo uomo in fuga
Il blitz è scattato quando gli agenti della Digos, seguendo una pista aperta già dai fermi delle scorse settimane, hanno ottenuto conferma operativa: quegli uomini erano lì con un piano. Con loro — secondo quanto riferito dal Messaggero che per primo ha dato la notizia — avrebbe dovuto esserci un terzo complice, sfuggito poco prima all’arrivo della polizia.
All’interno della struttura ricettiva, situata proprio lungo la salita finale del Trasporto della Macchina – il tratto più affollato e più esposto – sono state rinvenute armi da guerra, tutte pronte all’uso. Gli inquirenti sospettano che il commando fosse collegato anche alla rete criminale del boss turco Baris Boyun, già arrestato a maggio a Bagnaia con alcuni suoi sodali.
I due turchi finiti in manette, subito trasferiti nelle camere di sicurezza, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Nessuna parola è uscita dalla loro bocca. Né davanti al pm Massimiliano Siddi, né durante i primi interrogatori della Mobile. Solo un silenzio ostinato, forse preparato.
Luci accese per scelta di sicurezza
«Abbiamo deciso di far partire la Macchina con la pubblica illuminazione accesa», ha annunciato il capofacchino Luigi Aspromonte poco prima dell’inizio e confermato poi anche il primo cittadino. Decisione insolita, che ha sorpreso i viterbesi abituati al buio solenne della tradizione. Alcuni hanno fischiato, altri hanno chiesto spiegazioni. Nessuna è arrivata. L’ordine era chiaro: evitare panico, non fermare la festa, proteggere la città.
Poi, a metà percorso, le luci si sono spente. La Macchina ha proseguito, come ogni anno, nel buio e nella preghiera.
Le autorità messe in sicurezza
Tra le finestre di piazza del Comune, da cui si assiste a una delle tappe centrali del passaggio della Macchina, si sono affacciati anche i ministri Antonio Tajani e Alessandro Giuli, la vicepresidente del Parlamento europeo Antonella Sberna, Arianna Meloni e il deputato Mauro Rotelli e Luca Sbardella, oltre ai sindaci di mezza provincia. Tutti erano già stati messi in sicurezza dopo la scoperta del piano.
Nel frattempo, in prefettura, si era riunito d’urgenza il comitato di sicurezza. Roma aveva inviato il Nucleo operativo centrale e le unità cinofile antibomba. Dall’ufficio del Viminale, il ministro Matteo Piantedosi seguiva ogni sviluppo.
La tensione, per chi sapeva, era alta. La piazza, però, non ha percepito nulla. Viterbo ha marciato sul crinale tra pericolo e devozione, tenuta in piedi da una macchina umana e spirituale che non si è lasciata piegare.
Le indagini: mafia turca e forse fondamentalismo
Gli investigatori non escludono un collegamento con cellule terroristiche internazionali. Si cercano contatti con ambienti legati al fondamentalismo islamico, compreso l’Isis Khorasan. Una pista che si è già affacciata lo scorso anno, durante le indagini su possibili attentati contro il Papa.
Intanto si scandagliano i movimenti degli arrestati: incensurati in Italia, ma legati al sodalizio criminale di Boyun. Si ipotizza che avessero una base anche a Vetralla. Il loro soggiorno a Viterbo non sarebbe stato improvvisato: avevano scelto un punto strategico, conoscevano il percorso, forse attendevano un ordine.
Precedenti inquietanti
Solo il 25 agosto era stato arrestato un altro membro della stessa cricca, Ismail Atiz, nascosto in un affittacamere del centro. Riciclaggio, estorsione, minacce aggravate, uso di armi da fuoco: il curriculum da terrorista era già scritto. E prima ancora, nel maggio scorso, proprio la Tuscia aveva ospitato la cattura del boss, in fuga dall’Interpol. Non tutti i suoi uomini erano stati presi. Qualcuno, evidentemente, era rimasto.
Inoltre, a Mammagialla, si trovava anche un cittadino tunisino protagonista di una rivolta in carcere e inserito nella lista dei 115 estremisti islamici espulsi dall’Italia. Faceva proselitismo con i giovani nordafricani.