
L'editoriale
Se quella della Flotilla (rossa) è una “Mission: Irresponsible…”
Il piano dei promotori è alzare il livello dello scontro per esporre Israele nei confronti dell’indignazione mondiale. Per la delegazione italiana, di cui fanno parte Pd, 5 Stelle e Avs, ciò rappresenta invece un’occasione per cercare di mettere in difficoltà l’esecutivo Meloni nei confronti di un'opinione pubblica sotto choc per ciò che sta avvenendo a Gaza. Tentativo tanto disperato quanto spregiudicato
«Non avendo grandi materie sulle quali mobilitarsi in patria, l’opposizione le va a cercare in Palestina». La verità – che ha abbattuto una volta per tutte la narrazione che accompagna da settimane la delegazione italiana della Global Sumud Flotilla – l’ha pronunciata colei che non ama le ipocrisie, a maggior ragione sulla pelle delle cause dei popoli. Così Giorgia Meloni, nel punto stampa a New York poche ore prima del suo intervento all’Assemblea generale dell’Onu, ha “affondato” (come abbiamo spiegato a caldo sul Secolo d’Italia) la falsa morale della ciurma dem-penta-rossa che pensa di poter strumentalizzare meschinamente la tragedia di Gaza con lo scopo di colpire il governo italiano.
La prove del nove, dopo l’aggressione subita dai partecipanti in mare aperto da parte di droni non identificati (fatto stigmatizzato dal governo e dalla premier stessa anche durante la conferenza stampa), sta nell’offerta di lasciare in consegna al Patriarcato latino di Gerusalemme il carico umanitario che avrebbe da qui un canale sicuro per giungere alla popolazione di Gaza. La risposta dei corsari pro-Pal? No, grazie. Dimostrazione che l’obiettivo reale della spedizione non è quello di alleviare le sofferenze dei gazawi ma di tentare pericolosamente di forzare il blocco navale. L’intento è provocare la reazione di Israele, con tutte le conseguenze del caso (qualche anno fa tragiche, con dei morti fra i componenti della Flottilla) e con la speranza di scatenare l’intera comunità internazionale contro Netanyahu.
Se il piano strategico dei promotori internazionali – sui quali grava il buco nero dei finanziatori della Flotilla, alcuni dei quali con rapporti ambigui che porterebbero fino ad Hamas – è chiaramente quella di alzare personalmente il livello della tensione per costringere poi i rispettivi Paesi ad intervenire contro Israele, per la delegazione italiana, di cui fanno parte parlamentari di Pd, 5 Stelle e Avs, ciò rappresenta un’occasione ghiotta per cercare di mettere in difficoltà l’esecutivo Meloni nei confronti di un’opinione pubblica sotto choc per ciò che sta avvenendo a Gaza. Tentativo tanto disperato quanto spregiudicato, dati i rischi annessi e connessi per chi ha intrapreso la missione (rispetto ai quali il governo ha giustamente assicurato tutela diplomatica ma non certo il sostegno a forzare il blocco), per gli equilibri fra nazioni alleate ma anche per la stessa popolazione di Gaza: dato che, come ampiamente dimostrato, davanti a quelle che in Israele giudicano provocazioni europee la reazione è stato un ulteriore accanimento nei confronti dei civili sulla Striscia e in Cisgiordania.
Rispetto a un quadro del genere, con Donald Trump che nelle ultime ore ha riattivato proprio a New York il formato con i Paesi arabi nella speranza di coinvolgerli in prima persona per garantire un embrione di futuro statuale alla Palestina che garantisca la pace con Israele senza l’oppressione di Hamas, la sinistra italiana imbarcata sulla Flottilla è indaffarata a mettere i bastoni fra le ruote alla complessa operazione diplomatica americana: su cui investe molto, guarda caso (a differenza delle mosse controproducenti di Francia e Gran Bretagna sul riconoscimento della Palestina, frutto di due governi in enorme crisi di rappresentanza), proprio Palazzo Chigi. Nell’interesse esclusivo di rimettere al centro del tavolo la soluzione dei due popoli, due Stati.
Stessa recita a soggetto è quella della sinistra sulla terraferma. Lo ha spiegato ancora Meloni: se via mare si cerca di utilizzare i parlamentari del campo largo in rotta contro Israele come arma di ricatto nei confronti dell’esecutivo in patria, sulla penisola Landini e le altre sigle del sindacalismo rosso – d’accordo con i maggiorenti della sinistra-sinistra – minacciano già una nuova giornata di chiusure, caos e problemi per gli italiani. «Non porterà alcun risultato per la popolazione di Gaza – ha commentato non a caso la premier – o qualcuno pensa che Hamas rilascerà gli ostaggi perché l’Usb indice lo sciopero?». Morale? «Mi pare oggettivamente irresponsabile utilizzare una questione come la sofferenza del popolo palestinese per attaccare il governo italiano».
Chi avrebbe dovuto cogliere al volo proprio quest’appello? Chiaro: la leader del Pd. Purtroppo però Elly Schlein non supererà mai questa fase: quella dell'”indignata” da assemblea studentesca. Posizione che non richiede un reale sforzo di declinazione dei problemi ma solo gioco di rimessa. La leader del Pd, incalzata da Giuseppe Conte sulle posizioni radicali e dallo spettro “centrista” di Silvia Salis sulla leadership della coalizione, ha avuto l’opportunità nelle scorse ore di fare uno scatto in avanti rispetto agli stessi competitor interni e intestarsi il primo vero passaggio da statista: votare con Meloni e la maggioranza la risoluzione per il riconoscimento dello Stato di Palestina, con due condizioni, la liberazione degli ostaggi israeliani e l’esclusione di Hamas dal futuro assetto politico palestinese. Contribuire così alla costruzione di un’agenda condivisa su Gaza con cui emergere così come interlocutrice istituzionale sul resto dei dossier caldi di politica internazionale. Esattamente ciò che fece la premier – nel nome dell’interesse nazionale e del diritto reale dei popoli – il giorno dell’invasione russa in Ucraina: da leader dell’opposizione offrì subito il suo appoggio alla posizione dell’Italia a sostegno di Kiev.
Niente da fare con Elly. Prova di maturità politica non superata. E così a Meloni tocca farle anche da insegnante a distanza su una materia su cui però Schlein non si applica per nulla: come ci si candida, sul serio, a guidare una Nazione.