
La maschera è caduta
La scia di sangue che svela il vero volto della sinistra: non è politica, è terrore
Dall’attentato a Charlie Kirk all’omicidio di Pim Fortuyn, dalla vendetta rivoluzionaria ai delitti impuniti nelle scuole: smontiamo la favola tossica della “sinistra buona” e della “destra cattiva”
C’è una narrazione, tanto radicata quanto tossica, che divide il mondo politico in modo manicheo: la sinistra sarebbe l’alfiere del progresso, della tolleranza, della giustizia sociale; la destra invece, portatrice di odio, regressione e autoritarismo. Una visione comoda, rassicurante per i salotti e le redazioni radical, ma totalmente smentita dalla realtà. Perché se è vero che ogni campo politico può partorire estremismi, è altrettanto vero che la sinistra gode di un’inspiegabile immunità morale. Un salvacondotto ideologico che consente di picchiare, vandalizzare e perfino uccidere – senza che il dito venga mai puntato contro l’intera area politica. Anzi. Ogni volta è un caso isolato. Una deviazione. Una malattia, mai un sintomo.
La firma sinistra sulla violenza politica
Ma è giunto il momento di fare ordine. Di passare in rassegna i fatti. Perché la violenza politica ha spesso una firma ideologica ben precisa, anche se nessuno osa pronunciarla.
L’America nel sangue
L’assassinio di Charlie Kirk alla Utah Valley University è solo l’ultimo episodio di una lunga scia di sangue. Ma c’è qualcosa di inquietante nella reazione del mainstream: silenzio, minimizzazione, ironia. Quando a morire è un conservatore, il problema viene spostato altrove. È lo squilibrio mentale dell’aggressore, il contesto sfavorevole, perfino la provocazione implicita della vittima. Così, l’opinionista di turno può permettersi di dire: “Se l’è cercata”. E in quel momento, insieme a Charlie, muore anche il principio stesso del dissenso pacifico. Si legittima il TERRORISMO. Sì, lo si scrive volontariamente a grandi lettere.
L’attentato a Donald Trump
Nel luglio 2024, lo sparo contro Donald Trump – durante un comizio a Butler– mancò di pochi millimetri il bersaglio, lasciandolo ferito a un orecchio. La condanna fu debole. L’attenzione, dirottata subito sulle presunte “colpe comunicative” del tycoon. Pochi giorni dopo, un altro attentatore fu fermato, armato, nei pressi di uno dei suoi golf club.
Eppure, mica succede solo in America. È il 2018, in Brasile Jair Bolsonaro viene accoltellato in piena campagna elettorale da un militante ostile alla sua visione del mondo. Ancora, è il 2024, Robert Fico, premier slovacco, viene colpito da quattro proiettili da un oppositore politico. Anche qui, la responsabilità ideologica non esiste, è “radicalizzazione”. Come se le parole incendiarie nei talk show e negli account social di sinistra non fossero benzina su fuoco.
Quelli che non dovevano esistere
Il caso di Pim Fortuyn segna uno spartiacque tragico nella storia politica olandese. È il 6 maggio 2002 quando viene assassinato a colpi di pistola da Volkert van der Graaf, un attivista animalista di sinistra. Lo uccide perché – a suo dire – vuole “proteggere i più deboli”. Fortuyn, leader carismatico, omosessuale dichiarato, liberale su molti temi ma inflessibile sull’immigrazione e sull’islamizzazione dei Paesi Bassi, ha osato rompere lo schema binario: è “diverso” ma di destra. E questo, per certi ambienti, è intollerabile.
Stessa dinamica nel 2022 in Giappone, 8 luglio, l’ex primo ministro Shinzo Abe viene assassinato da Tetsuya Yamagami, un fanatico con rancori e ossessioni complottiste. La motivazione è tanto assurda quanto rivelatrice del caos ideologico in cui certi fanatici si muovono impunemente. L’esecuzione è precisa. Il bersaglio, chiaro.
Colombia, è il 7 giugno, il conservatore Miguel Uribe viene giustiziato da un quindicenne durante un comizio in strada. Morirà dopo due mesi di agonia. Il mandante resta ignoto, ma non è difficile dedurlo: Uribe è un volto emergente pronto a sfidare il regime di Petro, pronto a candidarsi alla presidenza. Sua madre, la giornalista Diana Turbay, era stata uccisa dai narcos negli anni Novanta. Due generazioni colpite, sempre dalla stessa matrice: il rifiuto della verità che i comunisti non tollerano.
L’ipocrisia sulle violenze “progressiste”
Ilaria Salis, eletta in Europa con i voti per buona grazia di Fratoianni e Bonelli, è diventata un simbolo della “resistenza antifascista”. Peccato che il “fascista” da lei aggredito in Ungheria si sia poi rivelato un comune passante. Non importa: l’etichetta giustifica il pestaggio, la narrazione redime l’errore. E mentre si discute di immunità parlamentare, le vittime scompaiono dal dibattito.
Certo c’è da dire che in Italia, la sinistra extraparlamentare ha una lunga storia di violenza militante: dagli anni di piombo – in cui le Brigate Rosse vennero “coccolate” dalla cultura accademica e intellettuale – fino alle devastazioni delle piazze odierne. Vetrine infrante, molotov lanciate, caschi e bastoni negli zaini delle “manifestazioni pacifiche”. Ma guai a parlare di violenza “rossa”: si rischia l’accusa di revisionismo. Meglio “nera”… Eppure, a destra i conti con la storia si son fatti.
Le stragi indelebili
Ora, il peggio. Appena due anni fa, a Southport, Londra, un attentato in una scuola femminile si porta via la vita di tre bambine. A premere il grilletto è un giovane “non binario”, radicalizzato online in ambienti attivisti. Anche in questo caso, cala il silenzio dei progressisti. Si nega lo scenario. Si dissolve il profilo del killer nel comodo rifugio del disagio psichico.
Oltreoceano, la cronaca è un bollettino di guerra. Le scuole diventano bersagli. Gli attentatori? Identità fluide, background “woke”, soliti schemi frustrati. Nashville, marzo 2023: sei morti, tre dei quali bambini. A sparare è un transgender. Due settimane fa, un’altra strage in una scuola cattolica: due bambini di otto e dieci anni cadono sotto i colpi, altri diciassette restano feriti.
“White lives matter”
E come non citare l’efferato omicidio di Iryna Zarutska, ragazza fuggita dall’Ucraina verso la tanto decantata America democratica, e finita massacrata su un treno a Charlotte da DeCarlos Brown Jr., senzatetto di colore con almeno quattordici arresti alle spalle, che l’ha colpita solo perché “donna bianca”.
Di fronte a questi orrori, la sinistra — che chiede comprensione e inclusività — sospende invece il giudizio. Ma quel giudizio ritorna subito, impietoso, quando qualcuno osa soltanto indossare – magari per caso – un berretto rosso con su scritto MAGA.
La genealogia del terrore
Tuttavia, la sete di sangue della sinistra ha radici profonde. Già durante la Rivoluzione francese, Robespierre parlava di “virtù e della sua emanazione: il terrore”. Dietro ogni utopia egualitaria, c’è un tribunale rivoluzionario pronto a ghigliottinare chi si oppone. Il socialismo, in tutte le sue forme – da Rousseau a Marx, da Lenin a Pol Pot – ha sempre avuto un problema con la natura umana: vuole piegarla, costringerla, rieducarla. Tolleranza, uguaglianza, fratellanza sono solo coperture retoriche.
L’odio sacro e l’odio permesso
Nel 2016, l’attrice Kathy Griffin posò con la finta testa mozzata di Donald Trump. Nessun processo mediatico. Nessuna carriera finita. Una pièce teatrale di Giulio Cesare mise in scena la sua uccisione in chiave moderna: l’applauso fu unanime. Provate a immaginare lo stesso trattamento riservato a un’icona dem Italia... La verità è che l’odio, se indirizzato a destra, è accettabile. Giustificabile. Talvolta persino raccomandabile.
La narrazione tossica che uccide due volte
Questo lavaggio del cervello deve finire. È manipolazione sistematica di una narrazione in cui la destra può solo sbagliare, e la sinistra non può mai sbagliare davvero. Anche quando spara.
Charlie Kirk non è morto solo per mano di un assassino. È morto anche per mano di un sistema culturale che tollera – anzi, alimenta – l’odio ideologico. Un sistema che non condanna la violenza in sé, ma soltanto quella bollata dai moralisti come “della parte sbagliata”.
E allora, cari moralisti, chi non è d’accordo, come diceva Charlie Kirk: “Prove me wrong”.