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Estrarre l’eterno dall’effimero. La lezione di Fenix, contro ogni sottomissione

L'editoriale

Estrarre l’eterno dall’effimero. La lezione di Fenix, contro ogni sottomissione

Questa nuova “rivoluzione conservatrice” che alimenta le due sponde dell’Atlantico ha bisogno di una narrazione capace di «estrarre l’eterno» dal flusso rapidissimo e caotico di un’informazione generalista che non sa stare al passo dei popoli. Qui al Secolo d’Italia ci impegniamo quotidianamente a far emergere proprio questo racconto

L'Editoriale - di Antonio Rapisarda - 21 Settembre 2025 alle 19:29

Il giornalismo che prescinde dai fatti – senza materia pulsante – è solo speculazione, narrazione falsata. Disinformazione bella e buona. Il fatto concreto di questa stagione, l’impasto vivo su cui dovrebbe lavorare ogni cronista ma dal quale tanti, troppi, fuggono e dissimulano, è rappresentato dal ritorno della questione nazionale: del risveglio della patria carnale, della volontà attiva dei popoli. Fatti inversamente proporzionali, non a caso, al crollo delle divinità omologanti della stampa mainstream: la globalizzazione e il pensiero debole. La Nazione, dunque, emerge come grande e sana reazione da un lato all’ottimismo suicida del capitalismo senza limiti e confini, dall’altro all’ubriacatura della cancel culture e dell’intolleranza Woke che ne rappresenta, al contrario di come sostengono i neo-internazionalisti, la sua fase senile, contraddittoria e nichilista.

Qualche giorno fa, in una trasmissione, mi è stato chiesto del rapporto Meloni-Trump: se e quanto potrà danneggiare l’avventura della premier italiana da qui alle prossime elezioni Politiche. Ho risposto (di «no») cogliendo inconsapevolmente l’invito di Baudelaire proposto dai giovani di Fenix come filo conduttore dell’ultima edizione della loro festa: «Estrarre l’eterno dall’effimero». Ed è esattamente così che emerge qualcosa di assolutamente più forte dei dazi, dei fattori economici e della polemica nel rapporto fra l’inquilino della Casa Bianca e la premier italiana. Cosa troviamo in questa “risposta”? Cos’è che lega due sponde e due storie così diverse? La forza ancestrale dell’identità. Identità antropologica, prima ancora che nazionale.

E l’immagine fatale di Charlie Kirk sta lì a testimoniarlo. Un’immagine carismatica, non a caso colpita a morte per la forza della sua identità e – come se non bastasse – dileggiata dopo la morte dai talebani della cultura woke. Che cosa ci restituisce la vicenda di Kirk? Il martirio del logos. Davanti alla forza del dialogo “socratico”, ciò che più occidentale non si può, si è scatenata la furia dell’odio della cinghia di trasmissione della sinistra: dalla “gioia” dei collettivi per l’uccisione alla “contestualizzazione” degli intellò, per i quali Kirk in fondo se l’è cercata. Il rifiuto di elaborare la gravità dell’istinto censorio (che raggiunge sempre più spesso vette di violenza) è parallelo all’incapacità di darsi una spiegazione di questo moto dei popoli occidentali ed europei contro chi nega e odia il proprio albero genealogico: il crollo delle élite progressiste ha generato questa vera e propria maledizione, l’oikofobia.

Se a sinistra vivono di astrazioni (il Green deal), esorcismi (l’antifascismo) e superstizioni (il multilateralismo), la realtà “senza filtri” – copyright ancora Fenix – è tutta di questa grande rivoluzione identitaria in atto. Il ritorno della Nazione, infatti, è davvero il grande fatto culturale: il fenomeno che torna ad orientare la storia dei popoli, l’antidoto alle vecchie e nuove forme di sottomissione. La destra politica italiana è riuscita ad alimentare e a connettersi a questa grande operazione. L’Italia, governata dalla destra, è tornata così l’elemento dinamico, vitalista e attrattivo in un panorama europeo in piena crisi di identità, di prospettiva: cartina di tornasole la bocciatura della agenzie di rating alla Francia “nel caos” di Macron, accompagna dalla promozione delle stesse per l’Italia stabile e guidata da Giorgia Meloni.

Da dove nasce questo? In parte da fattori esogeni (crisi della sinistra, implosione della tecnocrazia) ma soprattutto nasce da elementi profondi, estratti come riferimenti e “orientamenti” di governo. Cosa alimenta questa vena viva da cui attinge il governo? Per comprenderlo ritroviamo l’antico esercizio degli “exempla” medievali che la premier ha voluto richiamare accanto ai piani più importanti: quello dedicato all’Africa, nel nome di Enrico Mattei, e alla cultura, ispirato all’umanesimo di Adriano Olivetti. Accanto a questi riemergono parole-programma come partecipazione (dei lavoratori), merito (nella scuola), sussidiarietà (insieme i corpi intermedi). E infine il concetto che racchiude tutto: libertà nazionale. Dalla censura, dai dogmi, certo. Ma anche dall’arbitrio degli altri.

Perché i rischi di omologazione non sono solo quelli legati al politicamente corretto. C’è un mondo multipolare che si sta organizzando. E si è dotato anch’esso, eccome, di un immaginario che è tutto un programma: Xi Jin Ping con la divisa rivoluzionaria maoista, Vladimir Putin in uniforme militare. Segno che sono tornati gli imperi: di ieri e di oggi. E quest’altro mondo ragiona in termini di «maggioranza globale», di Eurasia senza Occidente. Società industriali e tecnologiche senza il paradigma della libertà.

È quello che ci aspetta? Speriamo proprio di no. La sinistra ha un antidoto? Lasciamo perdere… La risposta ce l’ha, ancora una volta, la destra. È consustanziale alle eccezionalità nazionali dei popoli europei richiamate puntualmente da Meloni, ai mille campanili delle cattedrali, alla lezione di San Benedetto e di Federico II. È l’Europa di sempre: da rivoluzionare, decostruendo l’impianto burocratico che ne ha devitalizzato lo spirito e la forza. Per restituire quel formidabile modello sociale e di sviluppo che può e deve non solo competere ma riallineare e riequilibrare la direzione del mondo.

Questa nuova “rivoluzione conservatrice” che alimenta, questo sì, le due sponde dell’Atlantico ha bisogno di una narrazione capace di «estrarre l’eterno» – gli archetipi – dal flusso rapidissimo e caotico di un’informazione generalista che non sa stare al passo dei rispettivi popoli. Da parte nostra qui al Secolo d’Italia ci impegniamo quotidianamente a far emergere proprio questo racconto, esattamente come la fiamma che arde sulle magliette dei ragazzi di Fenix: fiamma viva per un racconto vivo, come viva è tornata ad essere l’Italia.

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