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Operazione culle vuote, basta piagnistei sull’Italia che invecchia: è ora che programmi tv e dibattiti veicolino la bellezza del diventare genitore

Rapporto Istat

Operazione culle vuote, basta piagnistei sull’Italia che invecchia: è ora che programmi tv e dibattiti veicolino la bellezza del diventare genitore

Bene la politica del governo sulle risorse per le famiglie. Ora anche la comunicazione faccia il suo e veicoli valori positivi su maternità e famiglia

Società - di Mario Bozzi Sentieri - 4 Agosto 2025 alle 15:06

E’   una fotografia “stanca” quella offerta dall’Istat nell’ultimo Rapporto sui destini demografici del nostro Paese. L’Italia   invecchia, fa meno figli, si scompone in famiglie sempre più piccole e frammentate. Entro il 2050, perderemo oltre 4 milioni di residenti (da circa 59 milioni a 54,7 milioni), con un bilancio nascite-decessi ormai fuori controllo. In parallelo, il modello familiare sta implodendo: nel 2050 solo una famiglia su cinque sarà composta da una coppia con figli, mentre le famiglie unipersonali – già oggi il 36,8% del totale – sfonderanno il muro del 41%.

Tanto più il quadro si aggrava, offrendo ripetitivamente, di anno in anno, l’immagine di un Paese destinato ad invecchiare e a vedere diminuire i propri abitanti, tanto più l’attenzione sociale e culturale sulla crisi demografica sembra scemare, travolta da un fatalismo diffuso, ma inconsapevole. i fronte a certi numeri, non nuovi, ci si aspetterebbero analisi preoccupate, dibattiti sulle cause e sulle possibili contromisure: un allarme “di Sistema” in grado di fare notizia e di innalzare la consapevolezza collettiva. Niente di tutto questo. Molti giornaloni hanno taciuto la notizia. Altri l’hanno proposta con gelido distacco, statistiche alla mano.

La questione ha assunto   tratti patologici in ragione di una crisi che si trascina ormai dal 1984, allorquando il tasso di fecondità è sceso stabilmente sotto l’1,5 figli per donna, segnando l’inizio di una tendenza negativa che continua ancora oggi. Anche per questo l’Italia ha imparato a convivere con la crisi demografica, senza andare alle radici, assuefacendosi, non preoccupandosi più di tanto.

Gli interventi del Governo Meloni sulla natalità

Gli interventi governativi, in particolare negli ultimi anni, non sono mancati. Fin dall’inizio del suo mandato Giorgia Meloni ha indicato nella natalità “una priorità assoluta del governo”, muovendosi per creare   un ambiente più favorevole alla genitorialità: riducendo i costi e gli oneri legati alla cura dei figli, attraverso il sostegno alla flessibilità lavorativa, incentivando i servizi di cura dell’infanzia, con bonus e assegni familiari per sostenere le famiglie con figli e aiutarle a far fronte alle spese legate alla crescita dei bambini. Questi interventi possono essere considerati sufficienti? Ed ancora:  sono esaustive le principali cause addotte per fissare e superare la crisi demografica?

Gli studiosi: Bene il governo. Ora si apra una dibattito

In realtà, vista la complessità del tema, non c’è una soluzione. Anzi, una sola non è sufficiente. Perché “la natalità è solo una parte della questione demografica” – come ha specificato –  Francesco Billari, professore di demografia, rettore dell’Università Bocconi e autore di Domani è oggi. Costruire il futuro con le lenti della demografia (Egea, 2023):  “Bene che la natalità sia al centro dell’attenzione, ma deve diventare un dibattito che porti ad un’impostazione stabile e ad una continuità capaci di dare sicurezza, anziché ridursi ad interventi a breve termine”.

Verso un “ecosistema famiglia”

Il punto, riflette Billari, non è spingere a fare figli ma a “diventare genitori, favorendo un sistema di politiche coerenti che comprenda tante misure insieme che creino un ecosistema stabile e certo fatto di aiuti economici (per le famiglie più povere) e benefici fiscali (per il ceto medio), ma anche politiche di conciliazione famiglia-lavoro con congedi di paternità, nidi e scuole a tempo pieno”.

Le soluzioni tecnico-legislative – ci permettiamo di puntualizzare – possono essere utili, ma non sono sufficienti. La “questione demografica” è sociale (e quindi politica) ma ancora di più è culturale ed antropologica, toccando il quadro generale (e la tenuta) dei valori che informano qualsiasi società, rimettendo in primo piano il valore dei figli e della famiglia, oggi considerati come un peso o un limite, nel segno di  una vita individualista e senza legami.

Tv e media rompano la cappa di conformismo

Una più marcata attenzione, a livello comunicativo, potrebbe attivare una rinnovata consapevolezza sul tema, attraverso spot, programmi TV, dibattiti che trasmettano un messaggio positivo sulla natalità, che “ricreino”, nell’immaginario collettivo, il valore dell’unione familiare e della procreazione.

Una “nuova” opinione, sorretta scientificamente da esperti del settore, aiuterebbe inoltre nell’opera di “ricostruzione”, rompendo la cappa di silenzio e di conformismo che ammanta la “questione”. L’impressione, a livello di mass media è che si abbia perfino paura che la demografia, scienza deputata allo studio quantitativo e qualitativo della popolazione, faccia il suo dovere, produca analisi e magari   allarme sociale, indichi rischi e priorità.

Perché si ha paura di parlare di natalità e fecondità

Fa paura che questa disciplina svolga il suo compito, che è quello di coniugare fattori naturalistici e metodo statistico, caratteristiche strutturali della popolazione (età, sesso, stato civile) e fattori extra demografici (professione, attività economica, reddito, residenza).  Fa paura parlare di natalità e di fecondità, di maternità e di infanzia, termini desueti che sono però alla base dell’equilibrio demografico. Fa paura parlare di vita e quindi di avvenire della Nazione e dei suoi valori costitutivi.

Non è solo una questione di “numeri”. In gioco c’è la necessità   di guardare alla nostra realtà nazionale con una visione lunga, di crescita, di scommessa sul futuro, di “progetto”, laddove, oggi,  la vita la si spegne   sul nascere. La genitorialità appare un peso. Tutto è lasciato alla “buona volontà” delle famiglie, sempre più precarie, incerte nei bilanci e nella consapevolezza di un ruolo essenziale per l’intera società.

Verso una nuova consapevolazza

La partita è grande. In gioco c’è la salvaguardia della nostra esistenza nazionale, oltre che del bilancio previdenziale e della tenuta del nostro sistema produttivo.  Quindi della nostra possibilità di tornare a crescere economicamente, socialmente e spiritualmente. Mai come in questo ambito etica e socialità sono strettamente collegate. Non esserne consapevoli vuole dire essere condannati ad una precarietà di massa, sterile, senza avvenire ed in balia del relativismo, spacciato per “progresso”.

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di Mario Bozzi Sentieri - 4 Agosto 2025