
Il casco d'oro partenopeo
Nino D’Angelo si racconta, tra i successi e gli spaghetti con Maradona: “La depressione mi aveva rovinato la vita”
Il figlio del cantante presenta il documentario sulla vita del padre, tra l'infanzia da contrabbandiere e i successi degli anni Ottanta
Nino D’Angelo esplose il 1982. Nella Napoli che idolatrava Pino Daniele, si mise a metà tra i neomelodici e una tradizione canora unica. In un’intervista al Corriere della Sera, il cantante e attore napoletano si racconta, tra sofferenze, successi e rinascite, che coincidono con il documentario realizzato dal figlio Toni.
L’infanzia difficile e il contrabbando
Nino D’Angelo racconta la sua infanzia. “Eravamo sei fratelli e quando mio padre ebbe un infarto mi divisi tra la vendita dei gelati e il contrabbando di sigarette. Mi salvarono mia moglie, che sposai quando aveva sedici anni, e la sua famiglia e mi misi a cantare”.
In quegli anni diventò un’icona, anche se la maggior parte della vendita dei dischi e delle musicassette era abusiva e gestita, di fatto, dal mercato nero partenopeo.
La depressione
Nel film realizzato dal figlio, Nino D’Angelo parla del male oscuro che lo ha afflitto: “La depressione è una brutta bestia, anche se non sono un medico perdi il senso della vita. Vidi una prima luce il giorno in cui Toni uscì dalla sua stanza con un mio vestito addosso. Mi chiesi: perché devo far soffrire pure lui”.
Gli spaghetti di Maradona
In quegli anni a Napoli piomba Diego Armando Maradona che diventa il Re della città. E Nino, autore di una canzone dedicata alla sua squadra del cuore, “I ragazzi della curva B”, (con annesso film) diventa amico del Pibe de oro. “Diego impazziva per gli spaghetti aglio, olio e peperoncino che mia moglie preparava a casa di Giuseppe Bruscolotti. Ci siamo amati perché avevamo la stessa storia, il dolore è uguale per tutti”, dice il cantautore, che durante il Covid si oppose alla chiusura del lockdown.
Lo scugnizzo diventato adulto
Nell’intervista Nino D’Angelo dice di non rinnegare gli anni del ‘caschetto d’oro’ che gli regalarono la popolarità nazionale e si considera ancora, di fatto, uno scugnizzo: “Una definizione che per me rappresenta anche oggi un onore”.