
Tutta l'ipocrisia dei compagni
La sinistra dà del dittatore a Trump, ma ignora le purghe cinesi dell’amico Xi: vecchie simpatie non muoiono mai
In Cina le epurazioni si sprecano: generali, ministri e dirigenti di partito scompaiono uno dopo l’altro. In Italia, però, Prodi, Conte ed Elly continuano ad applaudire Pechino. Forse è nostalgia di Mao e Stalin
C’è un paradosso che in Italia si preferisce non vedere. Ogni volta che la sinistra si affanna a denunciare la “deriva autoritaria” in America, paventando lo spettro di un Trump che soffocherebbe la democrazia con un tweet, dimentica — con la solita e puntuale convenienza ideologica — che il mondo pullula di veri dittatori. E quello che più attira le loro simpatie siede oggi a Pechino e si chiama Xi Jinping.
Xi Jinping e il culto della purga permanente
Quest’ultimo non è un leader controverso. È un autocrate a pieno titolo. E la sua macchina, quella del Partito comunista cinese che tanto solletica le nostalgie intellettuali dei nostri progressisti, continua imperterrita a esibire tutti i sintomi della paranoia da potere assoluto. La notizia, ben ricostruita dal New york times, racconta un’estate rovente in Cina, ma non per il clima: Xi avrebbe infatti epurato militari, funzionari e politici, tutti scelti e insediati da lui stesso. Non oppositori, non sabotatori, nessuna voce scomoda. Fedelissimi. Soldati dell’impero rosso, sacrificati sull’altare della sua perpetuazione del potere personale.
La testata statunitense poi, con sottile ironia, chiama «pettegolatori da comodino» — in Italia diremmo gossippari del web — quei commentatori cinesi che su YouTube s’impegnano a decifrare le immagini ufficiali, le assenze ai congressi, le espressioni del leader d’Oriente, nella speranza di anticipare una frattura o una caduta. Ma più che una nicchia, questi segugi digitali sono la spia di un sistema malato. Quando un regime diventa opaco al punto che per capirlo bisogna decifrare le alzate di sopracciglio, qualcosa nella democrazia interna — quella tanto cara alla sinistra quando riguarda l’Occidente — è già evaporato da un pezzo.
Un sistema che divora i suoi figli
Dal 2022 a oggi, oltre il 10% del Comitato centrale del Partito comunista è scomparso dalle scene. L’Esercito popolare di liberazione è stato colpito duramente: quarantacinque alti funzionari rimossi in poco più di un anno, due ministri della Difesa accusati di “atti equivalenti a un tradimento”. Il tutto in un Paese dove la successione politica è un miraggio, il dibattito un reato, e la trasparenza un vezzo occidentale da estirpare. Questo i compagni nostrani lo sanno? Forse no.
Eppure, chiunque abbia letto una biografia di Stalin riconosce il meccanismo. Stephen Kotkin, lo storico che ha dedicato la vita a studiare il dittatore sovietico, lo dice senza ambiguità: «Una delle cose più sorprendenti del comunismo è che uccide i propri uomini di fiducia». Non serve il plotone d’esecuzione per riconoscere una purga: basta osservare la solitudine crescente di Xi, che taglia le teste del cerchio magico per impedire che diventino spalle su cui qualcun altro possa salire.
Una lezione che la sinistra ignora
Nel 2024, quasi 900.000 membri del partito sono stati “disciplinati”. E non siamo nei tempi del terrore maoista: questo è il presente, non il passato. La Cina epura mentre la sinistra italiana riceve le delegazioni comuniste con la cortesia dovuta agli amici di famiglia. Romano Prodi, Beppe Grillo, Giuseppe Conte, Elly Schlein: tutti rapiti dal “modello cinese”, dalla “governance orientale”, dalla “cooperazione tra civiltà”. Si riempiono la bocca di diritti umani quando devono attaccare il presidente Usa, ma si tappano occhi e coscienza quando si tratta di Xi.
La logica è la stessa che Wu Guoguang, politologo a Stanford, ha battezzato “logica di Stalin”: ogni fallimento del regime è seguito da una nuova epurazione, che serve non a correggere la rotta, ma a rafforzare la presa. La Rivoluzione culturale seguì a una carestia devastante. Ora, dopo il disastroso “zero Covid”, Xi rilancia con la paranoia. E chi osa dire che il potere comunista è fragile viene zittito.
Quando anche l’élite cinese trema
Le élite cinesi hanno sopportato Xi finché le loro ricchezze non sono state toccate. Ma ora tremano. Non perché gli Usa minaccino, ma perché il culto del capo non ha freni. «Se continua così – fa notare l’ex professoressa del Partito, Cai Xia, al giornalista del Nyt – i vertici potrebbero arrivare a pensare che non sarà Xi a cadere, ma il Partito stesso». Per Pd e grillini a quel punto sarebbe una catastrofe!
Il nemico non twitta, epura
In Italia, la sinistra è ancora abituata a vedere il male in casa d’altri. A dare lezioni di antifascismo al mondo, mentre stringe la mano a chi ha abolito i limiti di mandato. A gridare alla “democrazia in pericolo” davanti a un tweet di Musk, ma a ignorare che in Cina si finisce in prigione per averne scritto uno.
Il vero nemico, oggi, ha occhi a mandorla e uniforme impeccabile.