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Grandi Potenze

Realpolitik

Il ritorno delle Potenze e l’illusione dell’uguaglianza tra Stati: un viaggio da Vienna a Yalta fino all’Alaska

Un’analisi storica e geopolitica dell’ascesa, trasformazione e persistenza delle Nazioni, tra equilibri violenti, illusioni unipolari e il nuovo disordine strategico del XXI secolo

Esteri - di Ulderico Nisticò - 24 Agosto 2025 alle 10:34

Nel linguaggio diplomatico e politico – quindi anche in quello storiografico – la parola “Potenza” ottenne una certificazione ufficiale al Congresso di Vienna del 1814-15, che sancì di diritto come grandi potenze l’Austria, la Gran Bretagna, la Prussia e la Russia; e, sorprendentemente, anche la Francia, che – pur sconfitta – fu abile nel “tomber sur ses pieds”, scaricando le colpe su Napoleone e passando in fretta dalla parte dei vincitori. Vi ricorda la Francia del 1945? Avete indovinato. In quell’anno ci provò anche l’Italia, ma nessuno se la filò.

I privilegi (e i doveri) delle grandi potenze

Torniamo a Vienna: lì le grandi potenze ottennero più diritti degli altri Stati, ma anche più doveri, tramite la Santa Alleanza, cui aderirono tutti tranne Gran Bretagna e papa Pio VII. Le Potenze potevano – anzi, dovevano – intervenire militarmente per reprimere rivoluzioni e tutelare l’ordine. E accadde alla Francia nel 1820 in Spagna, all’Austria a Napoli e a Torino nel 1821, in Romagna nel 1831, e fino al 1849 in Ungheria, con Russia e Austria unite. Altri casi furono meno cruenti, come l’indipendenza del Belgio, o risolti con armi e diplomazia, come nel caso della Grecia.

La scalata alla gerarchia: da Cavour al Regno d’Italia

Nella gerarchia internazionale, dopo le Grandi Potenze, venivano Spagna e Turchia, di “serie B”, e a seguire una miriade di Stati minori, ciascuno con possibilità di scalata diplomatica. Un esempio emblematico fu Cavour, che fece entrare il Regno di Sardegna nella Guerra di Crimea, ottenendo un posto al Congresso di Parigi del 1856: il piccolo Stato piemontese fu così considerato quasi alla pari della Spagna. Da lì, tutto portò al 1861 e alla nascita del Regno d’Italia. Nonostante prove militari dubbie nel 1866 e in Africa, alla fine dell’Ottocento l’Italia era ormai riconosciuta come Grandi Potenza, mentre la Prussia si era trasformata nell’Impero di Germania.

1945: le nuove Grandi Potenze secondo Yalta

Saltiamo decenni e guerre per arrivare al 1945, quando furono proclamate Grandi Potenze la Cina, la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Ma, di fatto, prese piede l’ordine di Yalta: l’Occidente sotto guida americana (tramite la NATO), il mondo comunista sotto quella sovietica. Intanto, la Cina nazionalista spariva a vantaggio di una Cina comunista, rossa ma anti-sovietica.

La profezia fallita di Fukuyama e la realtà multipolare

Questa situazione durò fino al 1989-90, con il crollo dell’Urss e, in generale, del comunismo. Seguì l’allargamento della Nato agli ex Paesi satelliti e l’avvento dell’illusione teorica: Francis Fukuyama, nippoamericano, pubblicò La fine della storia, in cui annunciava la pace universale e la vittoria definitiva del modello liberal-capitalista. Come ogni profeta degno di nota, si sbagliò clamorosamente. Da allora le guerre non si contano più. E il liberal-capitalismo, anziché generare la felicità prevista, produce emarginazione e povertà, in un mondo paradossalmente ricco e ad alta tecnologia. Come regalare una Ferrari a chi non ha la patente e non sa guidare.

Fine del monopolio Usa e ritorno al multipolarismo

Il mondo monopolare americano durò poco. Nel frattempo, la Cina diventava un ibrido di capitalismo statale e privato, sotto un confucianesimo mascherato da marxismo. Nascevano altri giganti economici, come India e Brasile. L’Urss si frantumava in quindici Stati e la Russia tornava ai confini di Pietro il Grande, ma con nuova compattezza economica e militare. Oggi il mondo è nuovamente multipolare, con nuove e vecchie Grandi Potenze.

Francia e Gran Bretagna: potenze di diritto, non di fatto

Sulla carta, Francia e Gran Bretagna sono ancora grandi potenze, grazie al diritto di veto all’Onu. Ma spesso mostrano nostalgie da Congresso di Vienna, o si accontenterebbero anche del 1945… se solo qualcuno le prendesse sul serio. La Germania, dal canto suo, sorvola sul fatto di essere ancora occupata da truppe vincitrici della Seconda guerra mondiale, in stato di armistizio. Gli effetti? Irrilevanti. Le condizioni politiche interne, poi, sono altamente ondivaghe.

Onu, Cpi ed Europa: tra impotenza e autoreferenzialità

Abbiamo citato l’Onu, ma ci accorgiamo a malapena che esista. È diventata una delle Impotenze mondiali, come la Corte penale internazionale, che si è distinta solo per dar fastidio a Putin per Roma, obbligando lui e Trump a ricordare che l’Alaska era russa fino al 1867. E che scenografia, quella di Roma, la Città Eterna dei Cesari e dei Papi! Dell’Europa (dis)Unita, eccellente nel legiferare sui tappi di bottiglia, non parliamo nemmeno.

Le uniche vere Potenze: Usa, Russia, e (forse) Cina

A conti fatti, le uniche vere Grandi Potenze sono oggi gli Stati Uniti e la Russia. La Cina, per ora, resta defilata. Chi agisce da Potenza, torna ai principi del 1815, e nega l’uguaglianza tra Stati, rivendicando il primato della realpolitik. Le vere potenze dialogano solo tra loro, coinvolgendo gli altri solo dopo.

E l’Italia? Tra ambizioni e ritardi

L’Italia unificata fu una Grandi Potenza fino al 1943. Da allora fino agli anni Ottanta, la sua politica estera fu ufficialmente insignificante, e dietro le quinte – al massimo – oscura. Poi rialzò la testa con l’ingresso nel G7 e l’invio di truppe in vari teatri di guerra sotto l’etichetta di “missioni di pace”. Dopo anni di passività e obbedienza cieca al “ce lo chiede l’Europa” – come quando dovemmo pagare 1.936,27 lire ciò che prima costava 1.000 – il governo Meloni ha imparato a dire sì e no, anzi spesso no. Come certi bambini che crescono e si stufano di fare sempre i bravi cocchi di mamma. Perché, si sa: il cocco di mamma resta cocco a vita, e finisce per essere l’amico del cuore della compagna di banco che però amoreggia con il bullo del quartiere…

Ogni Potenza che voglia davvero esserlo deve, ogni tanto, pestare qualche callo. E chi non è una Grandi Potenza, ma almeno vuole essere potenza, deve stringere accordi con chi davvero conta.

Fermare le guerre, non predicare

Un corollario – sperando di non sbagliarci – è questo: compito delle Potenze, e in particolare delle Grandi Potenze, è impedire i conflitti, con forza e autorevolezza, non con le parole. Qualche esempio: Congresso di Berlino del 1878, Conferenza del Congo del 1881, Patti Lateranensi del 1929, Convegno di Monaco del 1938, Arbitrati italotedeschi del 1938 e del 1940. In tutti questi casi, le guerre furono evitate. E nessuna guerra è mai stata evitata con le belle parole.

Chissà se, tornando sull’argomento, potremo un giorno aggiungere: Alaska 2025. E magari, il prossimo passo?

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