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Un’immagine della sede del Parlamento europeo a Strasburgo

Il punto di vista

Un po’ di storia degli Stati Uniti d’America per capire cosa sono gli Stati (dis)Uniti d’Europa. E cosa serve per superarli

Dell'Unione europea è più facile dire cosa non è che cosa è. E c'è un motivo: per costruire un progetto solido servono volontà politica e adesione alla realtà, non burocrazia e utopie

Politica - di Ulderico Nisticò - 20 Luglio 2025 alle 07:00

Nel 1776, tredici dei possedimenti britannici in America si ribellarono, inizialmente per ragioni fiscali. Di fronte all’ottusità del parlamento di Londra, passarono alla guerra, fortunosamente vinta. Nel frattempo si chiesero come organizzarsi, e assunsero come modello proprio quello del nemico, cioè il Regno Unito (Uk) di Gran Bretagna di settant’anni prima, tuttavia in forma repubblicana e con mantenimento per le singole colonie, ormai dette “states”, di autonomie più forti di quanto poco restasse alla Scozia rispetto all’Inghilterra.

Ben consapevoli e delle condizioni geografiche e dei precedenti politici, i costituenti degli Usa (non mi fate dire “padri”, da quando tale locuzione è stata arbitrariamente estesa anche al 1946 italiano, e con recente aggiunta di “madri”!), che erano alcune delle menti più eccelse del XVIII secolo, decisero per un’autorità centrale che, sebbene elettiva, rispecchiasse, di fatto, i poteri che allora deteneva il sovrano britannico; e istituirono la presidenza quadriennale, rinnovabile una volta.

Questo disadorno e davvero incompleto riassunto di eventi di tanto tempo fa credo sia bastante a far capire, dire a toccare con mano, la differenza sostanziale tra gli Stati Uniti d’America del 1776, e di oggi, e l’Europa del 2025, che così, sempre per riassunto, evidenziamo: gli Usa nascono come una presidenza centrale che lascia alcune identità agli “states”, e con netta prevalenza del potere federale; invece l’Europa nasce, ed è tuttora…

…Cos’è, l’Europa? Diciamo meglio cosa non è. Non è uno Stato, e qui non servono spiegazioni. Ma non è una federazione con un potere centrale, come Usa o Russia; e nemmeno una confederazione di Stati sovrani come, a modo suo, fu la Germania 1814-66; e nemmanco un complicato però funzionante capolavoro d’ingegneria istituzionale come fu l’Austria-Ungheria 1867-1918. Neppure si può definire una formale alleanza politica e militare, perché non ha una politica estera unitaria, e non parliamo di forze armate. O è una moneta unica? Non tutti usano l’euro. Alla fine, l’Europa è quella che è dalla nascita (“natura delle cose è il loro nascimento”, insegna il Vico): una precaria e ondivaga intesa economica e finanziaria. E non abbiamo capito bene quale sia il confine tra poteri politici, la commissione, e il potere effettuale e indefinito di una burocrazia di dubbia origine e poco e nulla controllata.

Fare un esempio sulla questione della Terra Santa è fin troppo banale: senza scordare i precedenti, è dal 1947 che l’Europa, e i singoli Stati europei, si fanno un sacrato dovere della massima assenza sia fattuale sia, nel dubbio, pure verbale. Ma scoppia una guerra sul Don, ai confini (e ogni tanto anche dentro i confini!) e l’Europa tace… no, parla e straparla, solo che “plumas y palabras el viento las lleva”; questo, in quanto EU, e non scordiamo i guazzabugli estemporanei di certi singoli nostalgici del Congresso di Vienna 1815… ammesso ne sappiano seriamente qualcosa… quando erano ufficialmente “Grandi Potenze”, il che nel 2025 non risponde al vero; e infatti, per dirla terra terra, non se li fila nessuno.

Questa Europa si dovrebbe confrontare con sistemi molto più solidi, quali sono la Russia, la Cina e gli Stati Uniti. Dico solidi senza indagare sulle vicende interne. E consideriamo che anche l’America non è sempre e solo l’America ricca e mitica, bensì lamenta sacche di povertà, e non mancano periodici scossoni politici: la Guerra di secessione 1861-5 fu la prima guerra moderna per uso di tecnologia, e tra le più sanguinose che si ricordino. A qualcuno pare strano che Trump si preoccupi degli Stati Uniti prima che del resto del mondo; ma è esattamente quello che deve fare un responsabile politico di qualsiasi entità statale. Che lo faccia bene o male, la sentenza è ai soliti posteri, quindi tra numerosi decenni.

Di fronte a tale situazione, che si può fare? Gli Stati Uniti d’Europa sono una di quelle battute di spirito che paiono destinate al successo su giornali e nei dibattiti, ma solo a patto che nessuno domandi come e quando mettere mano all’idea a far scendere dall’Iperuranio i sogni! Perché gli Stati Uniti d’America, a parte le 13 colonie, anzi i loro dotti rappresentanti, nacquero prima come federazione che per la massima parte degli “states”, i quali sorgeranno come quasi desertici “territori” di conquista, e poi diverranno entità politiche. E sempre con un robusto potere federale.

Qui si tratterebbe dell’esatto contrario: mettere assieme entità statali (e, non sinonime e non del tutto coincidenti, le identità nazionali) che c’erano, confusamente e spessissimo entusiasticamente belligerandosi, molti secoli prima; e che nemmeno potrebbero contare su una lingua comune veicolare; e non oso nemmeno pensare a una lingua di cultura. Tra veicolare e di cultura c’è un abisso, ma noi non abbiamo nemmeno quella, e l’attuale EU parla inglese senza la Gran Bretagna. E in un momento di amara sincerità, confesso che useremmo l’inglese veicolare anche se l’Italia rifacesse l’Impero Romano nei confini di Traiano, atteso che la lingua del sì è difficile, e che anche nei confini italiani di oggi è arduo proporre un divulgato uso del congiuntivo! S’intende che il ceto colto e dominante continuerebbe a usare congiuntivo e condizionale, e persino il trapassato remoto.

Perciò, niente utopie. Idem per sogni di europeismo sentimentale, del quale è dal 1957 che invano si aspetta un moto filosofico poetico lontanamente simile al patriottismo del Primo Ottocento. A modestissimo avviso di chi scrive, e senza retorica, quello cui si può tendere è un ragionevole obiettivo politico, cioè un potere centrale, sia pure con larghe autonomie delle Nazioni, a loro volta con autonomie regionali: e continuo a immaginare la mia Regione Ausonia con attuali Molise Puglia Basilicata Campania Calabria.

E penso anche ad autonomie culturali, di cui l’Europa geografica per natura pullula; e che sono la sua ricchezza, e che nessuna persona dabbene spero voglia perdere per far posto a un miscuglio da banlieue, dove si può essere sì tutti uguali, ma se il comune denominatore è zero. E tanto meno dar retta a chi vorrebbe imporci un politicamente corretto che eliminerebbe ipso facto un buon 90% della storia, della poesia e dell’arte!

Quello che manca all’Europa è proprio il potere politico. Intanto, basta il veto di X o Y, e qualsiasi decisione va a farsi friggere. Attenti: c’è chi mette il veto e lo dice; e ci sono tanti che il veto lo mettono, eccome, però nell’ombra. E c’è il potere oscuro e subdolo della burocrazia. Fin quando dureranno queste tre cose, ci terremo l’attuale Europa (dis)Unita, e circondata da colossi compatti.

Forse proprio tale condizione potrebbe generare quello stato d’animo e quell’atteggiamento politico che i Latini chiamavano “societas contra exteras gentes”, cioè la necessità di far fronte alle pressioni altrui. Logico? Sì, ma ciò richiede un radicale mutamento di mentalità. Facciamo un esempio conclusivo: gli Usa, nati isolazionisti nel suddetto 1776, e costretti dopo il 1945 a sostenere la forma militare dell’Occidente, paiono ora volersene sobbarcare di meno o liberarsene del tutto; ed è questa la ragione del famigerato 5%, e di quanto oggi stesso leggiamo su armi americane a spese europee. Un eventuale esercito europeo, se nascesse sul serio, sostituirebbe la Nato? È una domanda: e per ora senza risposta.

Ma un esercito è forza organizzata, e consta di due aspetti: impiego di linea e logistica. Per questa, serve un tipo di economia e di produzione, con quanto ciò comporta; per quella, un mutamento di psicologia collettiva. Psicologia, o diciamo di scienza delle comunicazioni: ci sono tantissimi militari europei sparsi per il mondo, ed è lungo l’elenco di quelli italiani, e non penso se ne stiano a fare parate: solo che non lo si dice; il mutamento di mentalità consisterebbe nel cominciare a informare come fosse normale notizia da giornali e tv. Vale lo stesso per tutte le notizie circa un’entità statale qualsiasi e di qualsiasi forma istituzionale: se ce ne sarà una o no, alla fine dei conti è un fatto di volontà politica.

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