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Siria tregua al-Jolani cessate il fuoco

Tutto appeso a un filo

Siria, Damasco lancia la tregua con Israele. Ma Tel Aviv lancia l’allarme: “Al-Jolani sostiene i jihadisti”

Il presidente ad interim promette ordine e protezione per tutte le comunità siriane. Ma Israele non ci sta e già lo accusa di colpevolizzare le vittime: "Nella Siria di al-Sharaa, è molto pericoloso appartenere a una minoranza che sia curda, drusa, alawita o cristiana"

Esteri - di Alice Carrazza - 19 Luglio 2025 alle 14:04

La Siria ha dichiarato un cessate il fuoco nella provincia meridionale di Suwayda, dove gli scontri tra gruppi armati drusi, milizie beduine e truppe governative hanno trasformato la regione in un campo di battaglia etnico e politico. A decretarlo è stato Ahmed al-Sharaa, autoproclamatosi presidente a fine gennaio — dopo il rovesciamento del regime di Bashar al-Assad — e conosciuto meglio con il nome di al-Jolani. Una figura controversa, nata dall’instabilità, che tenta ora di imporsi come garante di ordine nazionale. «Per risparmiare sangue siriano, preservare l’unità del territorio siriano e la sicurezza del suo popolo», recita il comunicato ufficiale della presidenza. Parole che arrivano dopo una settimana di massacri, rappresaglie, bombardamenti e fughe di massa. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, almeno 718 persone hanno perso la vita, tra cui 245 civili.

Al-Jolani: “Unità nazionale e protezione delle minoranze”

Nel suo discorso televisivo, al-Jolani ha confermato di aver «ricevuto appelli internazionali a intervenire in ciò che sta accadendo a Suwayda e a ristabilire la sicurezza». Ha definito i drusi e gli arabi della regione come «un popolo nobile», isolando «quei pochi elementi che hanno cercato di seminare disordini». E ha ribadito: «Lo Stato siriano si impegna a proteggere tutte le minoranze e comunità del Paese. Condanniamo ogni crimine commesso a Suwayda».

Un appello all’«unità nazionale», ma anche un chiaro messaggio interno: il ruolo dello Stato, nelle parole del leader, è «quello di arbitro imparziale tra tutte le parti». Una promessa che suona come tentativo di riprendersi il controllo su una provincia storicamente diffidente verso il potere centrale e che Israele ha già rispedito al mittente: «Nella Siria di al-Sharaa, è molto pericoloso appartenere a una minoranza — ha scritto su X il ministro degli Esteri Gideon Saar — che sia curda, drusa, alawita o cristiana»

La tregua tra Israele e Siria, con la regia americana

Dietro il cessate il fuoco si intravede la regia diplomatica degli Stati Uniti. È stato l’ambasciatore americano in Turchia, Tom Barrack, a confermare nella notte l’accordo tra Siria e Israele per una tregua immediata, invitando tutte le parti a «deporre le armi».

Israele, dopo aver infatti lanciato raid aerei su Damasco e sulle postazioni governative a sud del Paese, ha accettato «l’ingresso limitato delle forze di sicurezza interna [siriane] nel distretto di Suwayda per le prossime 48 ore». Così ha riferito un funzionario anonimo israeliano, spiegando che la decisione è motivata «dall’instabilità persistente nel sud-ovest della Siria».

Ma l’alleanza è tutt’altro che solida. Israele vede nei nuovi vertici siriani «jihadisti travestiti» — o come li chiamavano i media curdi siriani: quelli che «hanno imparato a sorridere» —,  e accusa al-Jolani di voler usare il caos per riaffermare la centralità di Damasco con il pugno di ferro. Lo sguardo resta fisso su Suwayda, dove la minoranza drusa – che ha ramificazioni anche in Terra Santa e in Libano – rappresenta un nervo sensibile per lo Stato ebraico. Saar ha accusato il presidente siriano di aver pronunciato un discorso che “legittima gli aggressori e colpevolizza le vittime: la minoranza drusa sotto attacco”.

Un dispiegamento delle forze sul terreno

Il ministero dell’Interno siriano ha comunicato sabato l’inizio del dispiegamento delle forze di sicurezza interne nella provincia drusa. «Le forze della sicurezza interna hanno iniziato a dispiegarsi nella provincia con l’obiettivo di proteggere i civili e porre fine al caos», ha dichiarato il portavoce Noureddine al-Baba.

Ma, secondo quanto riportato da Al Jazeera, non era chiaro se le truppe avessero effettivamente raggiunto il cuore della città o se stessero ancora attendendo il via libera nei sobborghi. Una fonte della sicurezza ha confermato a Reuters che un convoglio del ministero era fermo nella provincia di Daraa, poco a est di Suwayda, in attesa di ordini.

Intanto, migliaia di combattenti beduini continuavano ad affluire nella zona, sollevando timori tra la popolazione che la tregua potesse saltare da un momento all’altro.

Esecuzioni sommarie e accuse incrociate

Crudo, resta il bilancio: i combattimenti hanno causato la morte di 146 combattenti drusi, 287 soldati governativi, 18 combattenti beduini e tre civili beduini uccisi da miliziani drusi. Ma a preoccupare sono anche le «esecuzioni extragiudiziali» riportate da varie fonti, compreso l’Ufficio dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani, che ha documentato «segnalazioni credibili» di gravi violazioni. In un episodio avvenuto martedì, sei uomini sono stati giustiziati sommariamente vicino alle loro abitazioni.

Ryan Marouf, direttore di Sweida24, ha riferito che «gli scontri non sono mai cessati», e che gran parte della città è senza elettricità, carburante, acqua e comunicazioni da giorni. «Da quattro giorni non c’è assolutamente nulla», ha raccontato Mudar, un giovane residente alla Reuteurs. E le conseguenze non tarderanno a toccare l’Europa. Per l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, almeno 80.000 persone hanno abbandonato l’area.

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di Alice Carrazza - 19 Luglio 2025