
Nazareno diviso
Separazione delle carriere, Morando apre la crepa nel Pd: “Riforma sacrosanta che la sinistra voleva”
La riforma Nordio, come l'abolizione del reato di abuso d'ufficio, spacca il partito di Schlein. Da una parte le crociate ideologiche per inseguire i 5Stelle, dall'altra il buon senso e il realismo
Pd diviso anche sul dossier giustizia, tra i padri nobili del Nazareno non manca chi, come Enrico Morando, tira le orecchie alla segretaria Schlein sulla separazione delle carriere. “Non è un attentato alla Costituzione e dire sì alla riforma voluta dal centrodestra significa essere coerenti con l’impostazione che la sinistra ha avuto anche quando ha votato la modifica dell’articolo 111 della Costituzione”. Così Morando a muso duro intervistato da La Stampa. Tessera in tasca, già parlamentare Pds, Ds, Pd, smonta pezzo per pezzo il muro innalzato dalla sinistra contro la riforma Nordio nel nome di un’ideologia giacobina. Ma l’eretico non è lui – sottolinea.
Morando tira le orecchie a Schlein: la riforma Nordio è legittima
“In realtà è la decisione di dire no, in modo pressoché pregiudiziale, che si discosta dall’elaborazione che negli anni abbiamo fatto su questo tema. Oggi forse in troppi lo dimenticano, ma noi nel 1999 facemmo la riforma dell’articolo 111 della Costituzione, introducendo il giusto processo…». Quell’articolo – ricordo Morando – stabilisce il principio della parità tra accusa e difesa. Respinto anche il racconto delle opposizioni che con la riforma il pm viene sottomesso al governo. “Bisogna chiedersi: la separazione delle carriere in sé è lesiva di qualche norma costituzionale, in particolare di quella sull’autonomia e indipendenza della magistratura? È prodromica alla subordinazione del magistrato requirente all’esecutivo? La risposta è no. Non lo dico io, lo ha detto la Corte costituzionale nel 2000, ammettendo il primo referendum sulla separazione delle carriere. Quindi dire che si scivolerebbe verso una subordinazione del pm all’esecutivo è un pessimo argomento”.
Attenzione a usare il referendum come clava politica
Ancora peggio, secondo Morando, la scelta di Pd, Avs e M5s di usare il referendum confermativo per sfidare Meloni. Guai a usare il quesito come clava politica. “Recentemente abbiamo fatto un’esperienza non proprio positiva di referendum sostenuti non per il merito ma per il significato politico generale, il referendum sul jobs act. I numeri dei referendum si leggono dicendo: ha vinto il “sì” o il “no”? Se il quorum è mancato – sottolinea Morando – è evidente che è stata una battaglia sbagliata. Ci si può inventare tutte le elucubrazioni che si vuole, ma quanti esempi ci vogliono per capire che contare i ‘sì’ o i ‘no’ come se fossero voti a un partito è esercizio arduo?”.
Sull’abuso d’ufficio il corto circuito con i sindaci dem
Sul terreno minato della giustizia non è la prima volta che nel Pd si registrano crepe profonde. Da una parte le crociate ideologiche, dall’altra il buon senso. Un caso su tutti l’abolizione del reato d’abuso d’ufficio contrastata dal Nazareno che urlava alla fine della diga anti-corruzione mentre i sindaci dem, primo tra tutti Matteo Ricci, brindavano alla “vittoria” per sanare la sindrome della “paura della firma” che rischia il congelamento degli atti amministrativi. Anche allora, come oggi, Elly Schlein avrebbe fatto meglio a connettersi con la realtà ascoltando di più i propri amministratori, invece che assecondare le smanie e i capricci massimalisti dei 5Stelle.