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Delitti italiani/12

Mino Pecorelli, l’uomo che sapeva troppo e l’ombra del “Divo” dietro un omicidio inquietante

Fondatore di Op, pubblicò diversi scandali. Legato ai servizi, iscritto alla P2, fu ucciso il 1979. Andreotti condannato a 24 anni fu successivamente assolto

Cronaca - di Mario Campanella - 27 Luglio 2025 alle 09:30

Carmine Pecorelli, detto “Mino”, aveva solo 51 anni il 1979. Avvocato, giornalista, scrittore, fondatore di Op, un giornale che pubblicava notizie scomode, criptiche, vere e inveritiere. Qualcuno lo uccise all’alba della primavera di quell’anno. Perché sapeva troppo.

Mino Pecorelli

Molisano, laureato in legge, avvocato, nel 1967 Pecorelli decide di fare il giornalista.

Lavora al periodico Nuovo Mondo d’Oggi (prima mensile poi settimanale di “politica, attualità e cronaca”), una rivista caratterizzata dalla ricerca e pubblicazione di scoop negli ambienti politici. Pecorelli divenne socio dell’editore Leone Cancrini. L’esperienza del settimanale fu, per lui, un trampolino di lancio. Strinse molte amicizie: alcune durarono poco, altre segnarono un passo importante nel suo curriculum .Sul numero del 19 novembre 1967 Pecorelli, che era in rapporti con i servizi segreti italiani, rivelò l’esistenza di un progetto per uccidere Aldo Moro nell’estate del 1964 in caso di attuazione del Piano Solo.

Op, il giornale delle veline dei servizi

il 22 ottobre 1968 registra presso il Tribunale di Roma la testata Osservatore Politico. La testata (il cui nome coincideva anche con le lettere iniziali di “ordine pubblico”), divenne presto molto nota ed ebbe anche una certa centralità in ambiti politici, militari e dei servizi segreti, costituendo una sorta di elitaria fonte di informazione specializzata. OP era letta dalle alte sfere militari, dai politici, dagli uomini dei servizi, dai boss della criminalità che avevano messo le mani su Roma, e non solo.

Pecorelli e gli attacchi a Leone e Andreotti

Op iniziò a pubblicare articoli scomodi,  compresi quelli della famiglia di Giovanni Leone (presidente della Repubblica dal 1971 al 1978) e di sua moglie, Vittoria Michitto. Altri scandali degni di nota regolarmente pubblicati su OP furono quello dell’Italpetroli, il Lockheed, il caso Sindona, il dossier “Mi.Fo.Biali” (che coinvolgeva l’ex direttore del SISDE Vito Miceli, Mario Foligni del Nuovo partito popolare e la Libia). Poi, pubblicò una lista di presunti massoni all’interno del Vaticano dopo la morte di Albino Luciani e una serie di attacchi a Giulio Andreotti.

Il 1º ottobre 1978, a quasi cinque mesi dall’uccisione di Aldo Moro, i reparti speciali dell’antiterrorismo guidati dal generale Dalla Chiesa effettuarono un’irruzione nella base brigatista di via Montenevoso a Milano e il materiale trovato venne subito pubblicato dai giornali. OP alluse però alla falsità del memoriale, documento censurato preventivamente con riferimenti al premier Giulio Andreotti che sarebbero stati occultati.

 Tutti gli assegni del Presidente: l’articolo mai pubblicato

Andreotti in quel periodo fu un bersaglio privilegiato di Pecorelli ed in particolare l’ambiente (fatto di politici, industriali e faccendieri) che alimentava la sua corrente: esemplare l’episodio di una cena in cui il braccio destro di Andreotti, Franco Evangelisti, cercò di convincere Pecorelli, con un assegno di 30 milioni di lire, prestati dai fratelli Caltagirone, a non pubblicare un reportage sugli assegni milionari che Andreotti avrebbe girato all’imprenditore Nino Rovelli o a Guido Giannettini del SID.

Il 21 marzo avrebbe dovuto pubblicare un articolo:  Tutti gli assegni del presidente ma dell’articolo non sono mai stati rinvenuti né il dattiloscritto né la bozza di stampa. Ma non ebbe il tempo per pubblicarlo.

L’omicidio

La sera del 20 marzo 1979, a poche ore dall’uscita di un altro numero di OP, il giornalista fu assassinato da un sicario che gli esplose quattro colpi di pistola – uno in faccia e tre alla schiena – in via Orazio a Roma, nelle vicinanze della redazione del periodico che si trovava in via Tacito sulla sua Citroën CX Pallas. I proiettili, calibro 7,65, trovati nel suo corpo sono molto particolari, della marca Gevelot, assai rari sul mercato (anche su quello clandestino), ma dello stesso tipo di quelli che sarebbero poi stati trovati nell’arsenale della Banda della Magliana, rinvenuto nei sotterranei del Ministero della Sanità nel 1981.

Le indagini

Chi uccise Mino Pecorelli? Per i collaboratori di giustizia fu la Banda della Magliana. Dapprima venne indicato Massimo Carminati come esecutore materiale, ma lo stesso sarà poi assolto. Successivamente si parlerà di Renatino De Pedis come autore dell’agguato.

Il mandante fu Andreotti? Assolto

Per gli inquirenti che riapriranno il caso il mandante dell’omicidio sarebbe stato Giulio Andreotti. Claudio Vitalone, allora influente magistrato romano e poi politico vicino al “Divo”, avrebbe concordato l’esecuzione con la mafia, Stefano Bontate, e la Banda della Magliana. Una tesi suggestiva che non reggerà nei processi che si svolgeranno.

Giulio Andreotti e tutti gli altri saranno assolti in primo grado a Perugia. Lo statista verrà condannato in appello a 24 anni insieme a Gaetano Badalamenti, ma la Cassazione annullerà tutto.

“Con Pecorelli parlavamo di cefalea”

Nella sua criptica ironia il sette volte presidente del Consiglio dirà di avere conosciuto Pecorelli e di avergli mandato personalmente delle pillole per la comune cefalea che colpiva entrambi.

La P2

Il nome di Pecorelli verrà trovato tra gli iscritti alla P2 di Licio Gelli, chiamato in causa come possibile mandante dell’omicidio. Spregiudicato e coraggioso, Pecorelli verrà descritto di volta in volta come un grande giornalista e come un ricattatore. Tra le ipotesi vi è quella che disponesse della lista dei politici di spessore italiano che avevano i conti all’estero e che era in possesso di Michele Sindona. 

Era coraggioso, Pecorelli. Forse uno di quelli, per citare il divin Giulio, che, “se l’andava a cercare”. L’uomo che sapeva troppo.

 

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