
Scintille a stelle e strisce
Trump e Musk: l’apparenza inganna. Ecco perché non sono ancora destinati a dirsi addio
Il teatro dello scontro maschera interessi comuni, visioni affini e le elezioni di medio termine che li costringeranno a tornare al dialogo
C’è qualcosa che somiglia a un dissidio, ma non lo è fino in fondo. Perché quando Elon Musk e Donald Trump si lanciano frecciate, il suono è quello di una schermaglia tra due titani che sanno di dover tornare presto al tavolo da gioco. Le ultime cronache hanno stuzzicato i commentatori più frettolosi, pronti a raccontare una rottura imminente tra il patron di X e il tycoon. Ma basterebbe sfogliare qualche pagina più in là – e non solo quella dei social – per intuire che i conti in sospeso sono meno numerosi dei progetti in comune.
Dietro le quinte, la diplomazia trumpiana si muove
L’ultimo a parlare è stato Steve Bannon, che di Trump conosce i nervi e le manie. In un’intervista a Politico, ha spiegato con la consueta brutalità: «È una vendetta personale contro il presidente degli Stati Uniti. Elon pensava che bastasse staccare un assegno a Trump e prima o poi ne avrebbe ricavato qualcosa». Ma puntualizza: «Trump non funziona così. È il politico meno influenzabile dai donatori della storia, non gliene frega niente». Parole pesanti, certo. Ma in bocca a Bannon, più che minacce, sono pugni teatrali. Lo scontro, se davvero c’è, è più stilistico che strategico. Lo stesso Bannon ha lasciato intendere che il legame è tutt’altro che reciso: «La prima cosa da capire è che Musk è un uomo d’affari».
Il punto non è la simpatia personale, né l’ego – abbondante – dei due. Il punto è l’utilità. E in politica, soprattutto quella americana, l’utilità è la misura di tutte le cose.
Midterm repubblicani: Musk come alleato necessario
Trump, ora in pieno controllo del partito repubblicano, guarda alle elezioni di medio termine come a un banco di prova decisivo. Serviranno soldi, piattaforme e narrazioni. E chi se non Elon Musk può offrire tutte e tre le cose? Negli ultimi mesi, Musk ha ventilato l’idea di partecipare alle elezioni di metà mandato, ma ha anche affermato di volersi ritirare dalle spese politiche.
I suoi rapporti con Peter Thiel e la Silicon Valley conservatrice inoltre sono ancora vivi. E è ancora riconosciuto come eroe dalla destra di mezzo mondo per aver combattuto contro la censura digitale. E Trump questo lo sa.
Segnali distensivi: “Dovrebbero fare pace per il bene del nostro Paese”
Anche dallo staff di Washington arrivano aperture. Soprattutto, nessuno tra i repubblicani è pronto a schierarsi per alimentare divisioni. Anche, Bill Ackman, gestore di fondi speculativi e con un patrimonio da 9,3 miliardi secondo Forbes, ha lanciato il monito: «Supporto entrambi, dovrebbero fare pace per il bene del nostro grande Paese». Non c’è voluto molto prima che Musk rispondesse: «Non hai torto». Un modo elegante per dire al mondo che lo scontro è contenuto e controllato. Che serve a entrambi tenere viva l’immagine del battitore libero – Musk – e quella del leader inamovibile – Trump – senza trasformare le differenze in un divorzio.
Del resto, il mondo che entrambi vogliono costruire non è poi così diverso. Un’America sovrana, ostile ai vincoli internazionali, decisa a dominare il campo tecnologico, e determinata a riformare lo Stato secondo la logica competitiva del privato. Il punto in cui divergono, è la base a cui si rivolgono. Musk parla alla tecnodestra libertaria, fatta di innovatori, startupper e cultori del mercato assoluto. Trump, invece, ha ricostruito la destra sociale: ha spostato il cuore del partito repubblicano verso i ceti medio-bassi, conquistando consensi in segmenti che un tempo erano considerati perduti — giovani, periferie, minoranze. E oggi, è questa destra a comandare.
La frizione come strategia
Più che un crollo, quello tra Trump e Musk è un teatrino ben calibrato. Ognuno ha bisogno dell’altro, ma entrambi vogliono che sia l’altro a doverlo ammettere per primo. Trump ha bisogno della potenza mediatica e finanziaria di Musk. Il signor Tesla ha bisogno dell’America trumpiana per proteggere i suoi interessi da burocrazie, woke capitalism e regolatori democratici.
La collaborazione è inevitabile. E se in superficie vedremo ancora qualche graffio, sarà solo per aumentare la tensione narrativa ma sempre e solo alla luce del realismo.