
Il libro
Il paradosso nevrotico e la resistenza al cambiamento: analisi e similitudini politiche
Francesco Mancini, uno dei più grandi psichiatri italiani, affronta il processo di resistenza al cambiamento che ha analogie con i processi sociali e politici
I paradossi della psicopatologia (Raffaelle Cortina) è un altro dei libri di grande rilevanza scritti da Francesco Mancini, (in questo caso con Amalia Gangemi), uno dei più grandi psichiatri italiani. Romano, cognitivista, fondatore dell’Apc di Roma e della Spc, professore associato di psicologia clinica, Mancini affronta, insieme alla co-autrice, in questo volume, un tema importante, che può essere letto trovando analogie con i processi sociali e politici.
Il paradosso nevrotico e il vantaggio secondario
Il testo affronta la chiave dei processi di mantenimento delle vecchie “nevrosi”, fornendo una sorta di risposta sulla incapacità di autodeterminarsi. Superando i concetti disposizionali e i deficit, secondo gli autori più descrittivi che esplicativi, la loro prospettiva teorica ha identificato il filo conduttore, e quindi la soluzione al paradosso nevrotico, nell’idea che i processi cognitivi siano regolati esclusivamente dalle motivazioni.
Gli autori ci tengono a sottolineare come nel dominio della psicopatologia appare congruo parlare di persistenza paradossale, operando un distinguo con i disturbi in cui il cambiamento autonomo non è nelle possibilità del paziente, come plausibilmente accade nei disturbi del neuro-sviluppo o nei quadri neurologici.
Il cognitivismo come chiave di risposta
Mancini, insieme ad Antonio Semerari padre del nuovo cognitivismo che racchiude esperienze significative e di rilievo, da Giuseppe Nicolò a Sassaroli, Dimaggio,Carcione, dà una chiave interpretativa illuminante e riflessiva. Mancini e Gangemi considerano l’accettazione uno stato mentale caratterizzato dal riconoscimento che un determinato assetto della realtà, rilevante per l’individuo e di solito negativo, sia congruo con ciò che la persona assume sia giusto che accada o per lo meno non sia in contrasto con esso. Francesco Mancini è uno degli autori che ha inserito il concetto di colpa nella diagnosi del doc, elemento discriminante rispetto al concetto di danno.
Esiste un paradosso nevrotico anche in politica?
Se esiste una sorta di aggancio alla sofferenza soggettiva ci si interroga se possa co-esistere il paradosso della scelta non operata in chiave politica e sociale.
Cacciari, ma anche Galimberti o Galli della Loggia, sin dai tempi della seconda Repubblica, si sono interrogati sul perché partiti e movimenti politici nazionali e internazionali non cambiassero atteggiamento dopo le sconfitte. Si chiesero come mai, ad esempio, dopo le vittorie di Berlusconi, dal centrosinistra non si cambiasse strategia intorno a un giacobinismo che rafforzava elettoralmente il leader di Forza Italia. E, dall’altra parte, perché, dopo il 2013, il centrodestra non chiudesse una stagione politica aprendone una nuova, senza insistere con strategie altrettanto sbagliate.
Il paradosso in chiave globale
Oltre i confini nazionali la geopolitica da tempo racchiude una persistenza all’errore, nel dialogo, nei rapporti di massa, nei processi di interlocuzione, che non sono sempre frutto di consapevolezza. De Benoist criticava l’atteggiamento occidentale nei confronti del comunismo come perifrasi di una compulsione a identificarsi con il nemico, non solo per trarne vantaggio antitetico.
Cosi come gli analisti su vasta scala affrontano la chiave di una radicalizzazione dei rapporti che non è solo responsabilità di alcuni mondi, quali quelli di derivazione teocratica o fanatica, ma anche di democrazie che, in quanto tali, dovrebbero seguire l’esempio di una discontinuità che tardano ad affrontare.
Da Mancini a Frest , la strada che non presi
Il libro di Mancini e Gangemi riporta alla mente la celebre poesia di Robert Frest, “La strada che non presi”. Il finale, “due strade divergevano in un bosco ed io, io presi la meno battuta, e questo ha fatto tutta la differenza” richiama a una sorta di scelta coraggiosa. Piuttosto che intraprendere la soluzione apparentemente adeguata, si sceglie quella insicura. Che paradossalmente è il percorso salvifico. Vale come soggettività ma anche come metafora di una comunità che, attraverso il coraggio, può abbattere resistenze e ostacoli. Sorprendentemente.