CERCA SUL SECOLO D'ITALIA

trump musk chiede scusa pace fatta

Pace fatta

“Ho esagerato”, Musk si scusa e rientra nei ranghi. Lo scontro tra giganti americani finisce al telefono: Trump apprezza

Dopo la bagarre incendiaria, il patron di Tesla cancella i post e telefona al presidente americano. "Apprezzo le sue parole", replica il tycoon. E aggiunge: "Dobbiamo rimettere in sesto il Paese"

Esteri - di Alice Carrazza - 12 Giugno 2025 alle 09:50

«Mi rammarico per alcuni dei miei post su Donald Trump della scorsa settimana. Ho esagerato». Firmato Elon Musk, ore 3 del mattino, su X. Nessuna foto, nessuna emoji. Solo un tweet, e l’inizio di una marcia indietro che ha il sapore di una tregua negoziata. Per sei giorni, il silenzio del patron di Tesla aveva fatto più rumore dei suoi attacchi. Poi, in piena notte, il pentimento digitale.

Musk si scusa, pace fatta?

Non c’è più traccia di quei post al vetriolo che, giovedì scorso, avevano infiammato la piattaforma: l’accusa a Trump di «ingratitudine» per non aver riconosciuto l’aiuto ricevuto da Musk nella corsa elettorale; il tweet esplosivo sul presunto coinvolgimento del Presidente nei file sul caso Epstein; la richiesta di impeachment; la proposta di sostituirlo con J.D. Vance. Tutto sparito. Come se non fosse mai esistito. Tranne che negli screenshot, ovviamente. «Hmm… questa pagina non esiste», appare oggi al posto di quelle accuse. Ma lo sappiamo: la memoria digitale è più tenace dell’oblio umano.

La legge di Elon

C’è una nuova regola non scritta che ricorda le liti tra habitué di un bar di provincia: parte tutto da uno scambio acceso, poi volano parole grosse, ma alla fine resta tutto lì, tra uno sbuffo e un sorso di caffè. Una dinamica tanto teatrale quanto prevedibile, che ben descrive l’eccesso della ultima sfuriata di Elon contro The Donald.

Si è superato un confine che ha messo in allerta gli uomini del Presidente, che certi panni sporchi preferiscono lavarli in casa, lontano dai riflettori. Fonti vicine all’amministrazione, pur restando caute, riconoscono: «Riflette le divisioni all’interno della coalizione tra i conservatori populisti e i conservatori del mondo tech, un’alleanza che è sempre stata fragile e difficile», ma non per questo inconciliabile.

L’offensiva e il ripensamento

Eppure Musk non ha cancellato tutto. Rimane l’appello a fondare un terzo partito. Rimane la richiesta di cacciare ogni parlamentare che abbia votato il Big, Beautiful Bill — la legge di spesa tanto cara a Trump — accusandoli di aver «tradito il popolo americano». Rimane, soprattutto, l’irrequietezza di un magnate della Silicon Valley che si è scoperto improvvisamente vulnerabile.

La reazione di Trump? Apparentemente glaciale. Intervistato dalla Nbc, Trump ha liquidato la questione: «Sono troppo impegnato con altre cose». Al momento: «Non ho alcuna intenzione di parlargli». Al New York Post, ha dichiarato però: «Alcun rancore». E poi, con l’aria di chi taglia corto: «Sono rimasto un po’ deluso».

Neppure il coinvolgimento, tutto presunto, con nel giro più losco di Washington sembra aver scalfito il tycoon: «Sono cose vecchie, è roba già vista, se ne parla da anni. Perfino l’avvocato di Epstein ha detto che non c’entravo nulla».

Diplomazia sotterranea

Eppure qualcosa, dietro le quinte, si è mosso. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, la diplomazia della Casa Bianca si era già attivata nel fine settimana. Prima con una telefonata mai avvenuta. Poi con due figure chiave: J.D. Vance, vicepresidente e pupillo tanto di Trump quanto di Musk, e Susie Wiles, capo dello staff. Entrambi, venerdì scorso, avrebbero cercato di convincere Mister X a fare un passo indietro.

Lunedì sera, scrive la Cnn, Musk ha infine telefonato al Presidente. Una «breve conversazione», confermata poco dopo da Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca: «Il presidente prende atto delle dichiarazioni di Elon Musk e le apprezza». Lo stesso Trump, incalzato dai giornalisti, ha ammesso: «Dobbiamo rimettere in sesto questo Paese». Poi, a margine, una frase che sa di distensione: «È stato molto carino da parte sua».

Tra impero e apparato

È la fine della guerra? Non esattamente. È il ritorno alla realpolitik. Musk, da settimane, temeva l’effetto domino. Non solo la rottura personale con Trump, ma l’annullamento dei contratti federali. SpaceX e Starlink — due asset strategici anche per il Pentagono — rischiavano di pagare il prezzo della bagarre. Non a caso, Elon ha cancellato il post più scottante dopo aver rinunciato all’idea di bloccare le capsule Dragon, unico mezzo attualmente disponibile per gli astronauti americani.

Nell’ultima settimana ha anche rilanciato dichiarazioni di Trump e Vance, ha smesso di attaccare frontalmente il governo. Ha perfino risposto a un follower, che gli ricordava la perdita di un quarto del suo patrimonio, 113 miliardi di dollari: «Ne è valsa la pena». Frase ambigua. Forse sincera. Forse un pegno.

La scena e il retroscena

Non è la prima volta che un big della Silicon Valley scopre di non poter fare a meno dello Stato. Bill Gates fu il primo a comprenderlo. Musk, invece, ha voluto dividere il palco con Trump. Ma la politica non tollera co-protagonisti. E una regola vige sempre: a corte mai oscurare il sovrano.

Pace armata

Insomma, Musk da un lato cerca di salvare i suoi gioielli high-tech e preservare il suo impero. Trump, dall’altro, sa bene che per battere la Cina — anche sul piano tecnologico — serve l’ex “Doge in chief“. Ma non troppo visibile. Non troppo autonomo.

È la pace dei forti. La riconciliazione tra l’uomo più ricco del mondo e quello più potente non è un abbraccio. È una stretta di mano, sotto lo sguardo vigile dei vertici militari, degli apparati industriali e, soprattutto, del partito dell’elefantino che non accetta alcuna frattura interna.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

di Alice Carrazza - 12 Giugno 2025