
Due morti e due feriti
Catturato il killer del Minnesota: Vance Boelter aveva una lista di politici da uccidere
La caccia all’uomo è finita. Dopo quarantotto ore di inseguimenti, telecamere setacciate e perquisizioni a tappeto, il killer del Minnesota, Vance Boelter è stato arrestato. È lui il sospettato principale dell’omicidio della deputata democratica Melissa Hortman e di suo marito, e del ferimento del senatore statale John Hoffman e di sua moglie. A riferirlo per primo, il New York Times, citando fonti ufficiali.
Arrestato il killer del Minnesota: “Non volevo finisse così”
Le immagini delle videocamere di sorveglianza hanno ricostruito gli spostamenti dell’attentatore poco dopo gli spari: Boelter, con calma agghiacciante, è tornato nella casa dove affittava una stanza. Non un nascondiglio improvvisato, ma il luogo ordinario da cui era partito tutto. Lì ha lasciato un messaggio ai suoi coinquilini: «Vi voglio bene, non volevo finisse così. Potrei morire a breve». Parole definitive, scritte da chi aveva dunque già superato un punto di non ritorno.
La lista nera nell’auto e l’odio verso i politici
Secondo uno degli inquilini, Boelter non era tipo da dare nell’occhio: «Non è un chiacchierone. È un uomo di famiglia, ha una moglie, un cane e figli». L’apparente tranquillità della vita domestica stride ora con il manifesto trovato nella sua auto: una lista nera con settanta nomi. Tutti i democratici del Congresso del Minnesota, più alcuni dirigenti di cliniche per l’aborto, come la Planned Parenthood, erano finiti nel mirino. Insomma, l’odio politico aveva già preso forma, nero su bianco.
Una biografia altalenante tra master universitari e pompe funebri
La biografia di Boelter è un guazzabuglio di titoli, lavori e conversioni. Laureato in relazioni internazionali, con un master in management, un dottorato in leadership e un recente corso online in scienze mortuarie, Boelter si barcamenava tra due impieghi in imprese di pompe funebri per «arrivare a pagare i conti», come dichiarato in un video autoprodotto. Prima ancora aveva gestito un negozio 7-Eleven, diretto una stazione di servizio, fondato con la moglie una società di sicurezza privata — la Praetorian Guard Security Services — e perfino assunto il ruolo di Ceo della Red Lion Group, impresa (almeno sulla carta) attiva nella Repubblica Democratica del Congo con l’obiettivo di creare occupazione locale.
Dalla fede al fanatismo: la discesa spirituale di Boelter
Eppure, la parabola più inquietante resta quella spirituale. Evangelico, fiero oppositore dell’aborto, Boelter si era autodefinito “reverendo” —sacerdote addirittura dal 1993 —, come riportato nella versione archiviata del sito Revoformation Ministries, organizzazione no profit fondata con la moglie. «Prima dell’11 settembre, Vance aveva già compiuto viaggi in diverse zone di Gaza e della Cisgiordania. Si rivolgeva ai militanti islamici per condividere il Vangelo e dire loro che la violenza non era la risposta», si legge ancora su quelle pagine.
Ma qualcosa, nel tempo, si è incrinato. Lo racconta David Carlson, amico d’infanzia: «Quando eravamo a scuola era come gli altri teenager. Poi ha iniziato a predicare nei parchi». Da lì in poi, un crescendo di ossessioni. L’impegno religioso si è fuso con un’ideologia bellicosa, nutrita di rancore e risentimento. La fede si è fatta dogma, e dietro una maschera, la predicazione si è armata.