
L'intervento
Bettini sferza il Pd: sbagliato il no alla separazione delle carriere. «È un principio di equilibrio»
Nel giorno in cui la riforma della giustizia arriva al Senato, il dirigente dem spiega che «non è una bandiera ideologica»: «Non si tratta di fare la guerra ai magistrati», ma di «avvicinarsi all’equità»
La separazione delle carriere dei magistrati «non è un totem, non è una bandiera ideologica. È un tentativo di avvicinarsi all’equità». Nel giorno in cui la riforma, che prevede anche il doppio Csm e l’Alta corte disciplinare, arriva nell’Aula del Senato, Goffredo Bettini lancia dalle pagine del Foglio un accorato appello a sostenerla, tanto attingendo alle memorie familiari quanto «alla grande lezione del liberalismo di sinistra». «Bettini spiega perché il Pd sbaglia a opporsi alla separazione delle carriere» è il titolo dell’intervento del membro della direzione Pd, che manifesta in questo modo una sensibilità evidentemente presente nel partito, ma schiacciata dalla scelta di un’opposizione sulle barricate dell’ostruzionismo.
Bettini al Pd: «La separazione delle carriere non è una bandiera ideologica»
La riforma, sottolinea Bettini, è «un modo per rafforzare la fiducia nella giustizia, restituendo dignità tanto al giudice quanto all’imputato. È un gesto di rispetto verso l’intelligenza e la libertà degli uomini e delle donne che entrano in un’aula di tribunale». «Seppure è un tema aperto e controverso, io ritengo che la separazione delle carriere nella magistratura possa rappresentare un passo importante, persino doveroso, nella direzione di una maggiore terzietà del giudice. Non per sfiducia nei confronti della magistratura. Non per una deriva populista o vendicativa. Ma per un’idea di giustizia che non rinunci mai a dubitare di sé, che riconosca nella fragilità dell’imputato -spesso solo, spesso smarrito– una parte imprescindibile della democrazia», scrive il dirigente dem, che del Pd è stato anche tra i fondatori.
La lezione del padre: «Il potere giudiziario è sempre un potere e ha bisogno di contrappesi»
Quindi i ricordi personali, legati alla figura del padre e alle sue convinzioni. «Sono cresciuto in un ambiente dove la giustizia non era una parola astratta, ma una materia viva, discussa, appassionante. Mio padre era un avvocato repubblicano, molto vicino a Ugo La Malfa, che spesso veniva a casa nostra, insieme a Oronzo Reale e ad altre grandi figure democratiche», scrive Bettini, rivelando che il padre gli ripeteva «che il potere giudiziario è sempre un potere, e come tutti i poteri ha bisogno di contrappesi, di cautele, di consapevolezza dei propri limiti. Il giudice, nel processo, rappresenta lo Stato. L’imputato è solo. La sproporzione di forza è immensa».
Non una «guerra ai magistrati», ma la riscoperta del «principio di equilibrio»
Dunque, «non si tratta di fare la guerra ai magistrati, come troppo spesso avviene nella polemica pubblica. Ma di rimettere al centro il principio di equilibrio. Come nella nostra Costituzione. Come nella grande lezione del liberalismo di sinistra. Come ci ha insegnato Montesquieu, il quale temeva un potere giudiziario stabile, organizzato, chiuso, permanente. Lo voleva invece intermittente, aperto, invisibile. Utopia? Forse. Ma l’utopia, quando è nobile, serve a orientare i passi, anche quelli più piccoli».