Indagine sul governo, fu “atto voluto”. Lo dice la legge (e i comunisti). Avvisate Gruber e Bersani

Atto dovuto o voluto? Si gioca qui la vera partita sulla credibilità dell’indagine sulla Meloni, i due ministri e un sottosegretario finiti nel mirino della Procura di Roma per il caso Almasri. Ma si gioca anche sui tempi, per esempio sulla maledetta fretta con la quale l’Anm ha spiegato che quella notifica alla premier era un provvedimento da fare in automatico dopo la denuncia, che non farlo sarebbe stata un’omissione di atti d’ufficio e che la legge parla chiara quando invita alla “omessa indagine”.
Quanta fretta di chiarire qualcosa che, se vero, avrebbe risolto almeno in parte il nodo politico su una presunta aggressione del potere giudiziario a quello politico. Troppa fretta. Quando qualcuno ha sollevato il dubbio su come sia possibile che un esponente dell’esecutivo – ma anche un privato cittadino – possa essere alla mercé di una qualsiasi delazione, quel sospetto s’è fatto approfondimento e lettura di norme e atti preesistenti, per scoprire che le cose non stavano esattamente come le raccontavano i giudici e i politici-plancton al seguito. Fu atto voluto, non atto dovuto. Lo aveva chiarito un giudice, non un politico, il Capo della Procura di Roma, non di Canicattì, chiedendo di valutare fatti, circostanze e peso delle denunce, prima di aprire fascicoli in automatico…
Atto dovuto o voluto, ma prima c’è una valutazione
La comunicazione di inizio indagine per Meloni & C. era un atto dovuto, dunque, ma a seguito di un atto voluto, ovvero la valutazione “discrezionale” fatta dal magistrato incaricato di trasmettere gli atti al Tribunale dei ministri. E la parte della legge che parla di trasmissione in “omessa indagine” arriva comunque a normare qualcosa che segue la valutazione preliminare sul “procedere” o meno, per evitare che chiunque possa attaccare e minare, oltreché la vita di un cittadino sconvolto da un avviso di inchiesta a suo carico, anche della vita politica di un Paese che dovrebbe proteggere la sfera decisionale, il potere esecutivo, da qualsiasi forma di aggressione pretestuosa.
Il plotone di esecuzione della Gruber contro Zurlo
Ieri sera, a “Otto e mezzo”, Stefano Zurlo, il giornalista del Giornale che provava a sollevare dubbi (e aveva ragione) sul “dovere” di aprire un fascicolo, notificare gli atti agli interessati e trasmettere il tutto al vaglio della corte terza, era stato letteralmente zittito e quasi “bullizzato”, con l’aiuto del solito audio intermittenti del collegamento esterno (gomblotto dei giudici in combutta con i tecnici audio… dal quartetto Lilli Gruber, Pierluigi Bersani, Massimo Giannini e Lina Palmerini, un vero e proprio plotone di esecuzione che si attivava, a cappella, al grido di “Ma cosa dici Stefano? Era un atto dovuto, dovuto, dovuto!”. Poi, stamattina, leggi Il Manifesto, glorioso giornale comunista, e scopri la rivendicazione con il solito titolo geniale: “Atto voluto”. Fanno bene il loro lavoro, sia chiaro, come lo fa il costituzionalista Alfonso Celotto, che oggi dice: “Sicuramente l’avviso di notizia non deve essere necessariamente comunicato e iscritto. C’è un vaglio. Ricordiamo anche che però una volta che viene iscritto questo atto si chiama avviso di garanzia”.
Nel 2017, invece, l’allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, predecessore di Lo Voi, firmava un circolare esplicativo il cui senso, alla romana, sarebbe stato: occhio ai cazzari. Non che l’avvocato Li Gotti, che ha denunciato mezzo governo, lo sia, ma il principio era ferreo: i fascicoli giudiziari vanno aperti dopo una pur minima valutazione discrezionale dei giudici. Traduzione: quello che diventa avviso o notizia di indagine, è un atto sempre e comunque “voluto”. Nel caso Almasri, basterebbe dire la Procura di Roma considera quella di Li Gotti una denuncia seria e non che in quel caso si è svolto solo un ruolo di passacarte. Dirlo e assumersi la responsabilità dello scontro tra poteri, non rifugiarsi nel “giustiziolese” che vive di norme interpretate e burocrazie senza fonti, sarebbe motivo di grande trasparenza.
Resta a futura polemica quella circolare n. 3225/17 di Pignatone che metteva i suoi sostituti in guardia dalla logica dell’atto dovuto. L’«errore» – si legge – consiste nel ritenere che, se in una querela o denuncia un certo reato viene attribuito a una persona, il pm sia tenuto ad iscrivere nel registro degli indagati. Dovuto? No, voluto. E tutto cambia, e forse, si spiega.