Malesia: 400 bambini abusati e torturati da una setta islamica. Il racconto dell’orrore
Le autorità della Malesia hanno soccorso circa 400 minorenni costretti a vivere nello squallore e spesso sottoposti ad abusi fisici e sessuali dalla setta islamica al Arqam, che è stata mesa al bando nel Paese.
Le vittime, di età compresa tra uno e 17 anni, sono state soccorse nell’ambito di una serie di operazioni di polizia che hanno portato anche all’arresto di 200 tra predicatori e membri della setta a Selangor e Negari Sembilan.
Le autorità malesi accusano al Arqam di promuovere una visione deviata dell’Islam, e di abusare di minori con il pretesto di impartire insegnamenti religiosi.
L’orrore in Malesia
Come confermato dall’ispettore generale della polizia Razarudin Husain le vittime sono di età compresa tra 1 e 17 anni. I raid delle forze dell’ordine hanno portato all’arresto di 171 persone, tra questi molti ustazs, ossia insegnanti di religione islamica, e alcuni custodi.
Sono stati in salvo 402 bambini, per la precisione 201 maschi e 201 femmine, che vivevano in case di accoglienza tra gli stati di Selangor e Negri Sembilan.
Abusati e torturati
Le vittime malate non potevano farsi curare fino a quando le loro condizioni non diventavano critiche”, ha spiegato la polizia in una conferenza stampa, sottolineando che le vittime venivano abusate sessualmente dai loro assistenti e costrette ad abusare a loro volta di altri bambini.
E ancora: “Il custode del rifugio ha anche usato un oggetto riscaldato per ferire le vittime come punizione per un reato commesso”.
Attualmente le giovani vittime sono ospitate in un centro di formazione della polizia a Kuala Lumpur, dove saranno sottoposti a controlli medici, ma le autorità malesi sono al lavoro per trovare una soluzione più strutturale.
La setta religiosa
Nel mirino delle autorità la società Global Ikhwan Services and Business Holdings, in passato legata alla setta religiosa islamica Al Arqam, bandita dal governo nel 1994. In una nota, il gruppo ha negato di avere dei rapporti con le strutture di accoglienza, accusando la polizia malese di azioni diffamatorie nei confronti delle loro attività.