Interessi zero per Ales, ma a vantaggio di Mps: la magagna scoperta da Tagliaferri sui conti della società
Vale sempre il vecchio detto: “Segui i soldi”. Solo che in questo caso i soldi da seguire sono quelli che mancano. O, meglio, che non sono arrivati nel corso degli anni ad Ales (Arte, servizi e lavoro spa), la società di servizi del ministero dei Beni culturali. Ales di soldi ne fattura tanti, ma con le precedenti gestioni ne ha anche mancati molti in un modo che fa sobbalzare chiunque abbia mai avuto a che fare con i conti di un’azienda: benché avesse un conto corrente da decine di milioni, la banca – Mps – non le riconosceva alcun interesse attivo. È stato il nuovo presidente, Fabio Tagliaferri, ad accorgersene a tre giorni dalla nomina e a porre rimedio, ottenendo a due settimane dall’insediamento un tasso di interesse del 3,5%, che specie di questi tempi è di tutto rispetto.
Per Ales conti correnti milionari e nessun interesse attivo riconosciuto da Mps
I fatti, così come li ha ricostruiti La Verità estratto bancario del 2023 alla mano e che trovano riscontro in fonti a conoscenza della vicenda, sono questi: Tagliaferri si insedia in Ales il primo febbraio; tre giorni dopo incontra i funzionari di Mps per la sostituzione delle firme per l’operatività del conto corrente; in quel frangente chiede quali siano gli interessi che vengono riconosciuti ad Ales, che ha una giacenza media di 40 milioni di euro e che in quel momento aveva un deposito di 70 milioni; si sente rispondere che gli interessi attivi sono pari a zero e non nasconde il suo disappunto, chiedendo che venga riconosciuto un tasso pari ad almeno il 3%; due settimane dopo gli arriva la pec con il riconoscimento del 3,5%. In termini assoluti e un po’ a spanne, si parla di poco meno di un milione e mezzo all’anno guadagnato da qui in avanti e, di contro, non incassato negli anni a tasso zero, che di fatto sono stati tutti a vantaggio della banca. Come risultato di un appuntamento e tre giorni di lavoro non è male.
L’attacco mediatico a Tagliaferri
Di Tagliaferri, però, certe cronache, si sono occupate per tutt’altro motivo: “È amico di Arianna”, “Fa il noleggiatore d’auto”, “Non ha il Cv adatto”, è stato il tam tam non esente da snobismo passato su alcune testate e tv e chiaramente funzionale alla narrazione del fantomatico amichettismo della destra. Poi si seguono i soldi e si scopre che Tagliaferri, quello col cv inadeguato, ha tirato fuori una magagna da qualche milione di euro e che la sta approfondendo, cercando di risalire a quando il contratto è stato stipulato, se sia arrivato dopo una gara, quali fossero le condizioni negoziate, se ci siano state proroghe, per quanto tempo esattamente gli interessi siano stati pari a zero. E, insomma, sfidando l’accusa di complottismo, viene il dubbio che questo possa aver dato fastidio a qualcuno e che l’attacco mediatico al nuovo presidente di Ales, forse, non sia dovuto solo al tritacarne mediatico e politico scatenato dal gossip su Gennaro Sangiuliano che lo ha nominato. Anche se quello c’è di certo.
Un caso isolato o un vaso di Pandora?
È bene chiarire che quanto scoperto da Tagliaferri sui conti correnti di Ales non è un illecito. È però un fatto che apre interrogativi su quale possa essere la qualità dei manager messi lì da quello stesso centrosinistra (i ministri che li hanno nominati erano i dem Dario Franceschini e Walter Veltroni) che ora grida allo scandalo per la nomina di un “autonoleggiatore”. Non solo, apre anche un interrogativo su quello che può essere successo nelle altre società pubbliche: il caso Ales è, come ci si augura, isolato o situazioni simili interessano anche altre società dello Stato? E se dovesse venire fuori che non è un unicum, quali valutazioni politiche si dovrebbero fare su chi ha nominato quei manager?
La riorganizzazione di Ales
Ma c’è anche un altro elemento che va tenuto in considerazione in questo quadro. Tagliaferri, anche per l’esperienza maturata come imprenditore, in questi sei mesi alla guida di Ales ha messo mano pure all’organizzazione. La società oggi fattura circa 100 milioni, ma mantiene l’assetto di quando ne fatturava un decimo. Tagliaferri, capendo che la struttura aveva bisogno di un adeguamento, ha chiamato una società di consulenza specializzata affinché studiasse le modifiche necessarie alle nuove dimensioni e ha iniziato a fare cambiamenti. Non ha tagliato teste, non ha portato dirigenti esterni, ma certamente ha smosso equilibri, anche di potere, consolidati. Un altro tema che agita parecchio gli animi a sinistra, tanto più nel fortino del settore cultura.