L’intervento. Strage di Bologna, quando si parlerà di Maria Fresu e della 86esima vittima?
Riceviamo e pubblichiamo
Anche quest’anno la commemorazione della strage del 2 agosto a Bologna si è trasformata in un’occasione per scatenare attacchi politici fuori luogo e fuori tempo, invece che di cercare di dissipare le ombre che, ancora dopo 44 anni, impediscono l’accertamento di una Verità credibile. Ha colpito particolarmente l’indecente attacco perpetrato dal presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi, nei confronti di una parte del Governo, accusata sostanzialmente di essere stata connivente con gli assassini… affermazioni che fanno eco ad alcuni articoli già apparsi su Repubblica che invitavano la presidente del Consiglio a “prendere le distanze” dal neofascismo, dopo averle prese dal fascismo.
Il ruolo politico di Bolognesi (ex deputato del PD) è noto a tutti e la sua filippica, che ha fatto da sponda alle dichiarazioni della segretaria Schlein, potrebbe quindi non stupire. Il guaio, però, è che nel suo ruolo di presidente di un’Associazione che dovrebbe tutelare i familiari delle vittime della strage ci si aspettava da lui ben altro. Infatti, come pochi sanno (poiché la notizia è stata volutamente oscurata e, nel tempo, cancellata), il 25 marzo 2019, per ordine della Corte d’Assise d’Appello di Bologna, fu ordinata una perizia sui resti di una delle 85 vittime della strage: Maria Fresu.
Maria Fresu, il 2 agosto, era nella sala d’attesa della stazione, in piedi di fronte alla figlia e a due amiche. Queste 3 furono soccorse dopo l’esplosione e, una di esse sopravvisse. Ma del corpo di Maria Fresu non si trovarono tracce. Per giorni la donna fu cercata invano. Alla fine, il 22 agosto, con un atto a dir poco vergognoso, la Procura di Bologna consegnò al padre della Frase alcuni resti (tre dita, un occhio, un labbro inferiore e uno “scalpo facciale”, ovvero un lembo di cute del visto e di cuoio cappelluto con capelli neri) dicendo che quello era ciò che rimaneva di Maria. Ed è quello che fu sepolto con il suo nome a Montespertoli.
Dopo l’esumazione i resti sono stati sottoposti al test del DNA che ha stabilito con assoluta certezza che nessuno di quei frammenti umani apparteneva a Maria Fresu e, oltretutto, non apparteneva neppure ad alcuna delle altre donne morte nella strage. Quel 25 marzo di 5 anni fa, dunque, si è avuta la prova scientifica e inconfutabile di due clamorose verità: che il corpo di una delle 85 vittime (Maria Fresu) non fu mai ritrovato e che esisteva un’altra donna (la ottanseiesima vittima) il cui corpo fu dilaniato dall’esplosione ma, anche in questo caso, il cui corpo fu fatto sparire, visto che (come confermato dalla perizia tecnica) a Bologna non esistevano le condizioni perché un corpo potesse “dematerializzarsi”.
Tralasciamo qui di stigmatizzare il fatto che, di fronte a una evidenza scientifica così eclatante, in qualsiasi Paese del mondo si sarebbe dovuta aprire un’inchiesta che, anche a distanza di così tanti anni, avrebbe dovuto cercare di far luce su questi due misteri. Ci preme, invece, sottolineare il ruolo di Bolognesi e della sua Associazione che dovrebbe tutelare anche i familiari di Maria Fresu, due volte vittima: sia della strage che dei magistrati. L’Associazione avrebbe dovuto come prima cosa promuovere un’azione penale e risarcitoria nei confronti della Procura di Bologna che scientemente (esistevano analisi del sangue che lo confermavano) consegnò al padre dei resti che sapeva benissimo non essere quelli di Maria. In secondo luogo, dovrebbe assistere legalmente sia la famiglia Fresu, sia quella ignota dell’altra donna rimasta dilaniata, chiedendo a gran voce l’accertamento della verità.
Invece, già prima della esumazione, Paolo Bolognesi si era opposto ad essa temendo «una strumentalizzazione», posizione ribadita anche dopo i clamorosi esiti della perizia necroscopica. Dal canto loro i giudici se la sono cavata scrivendo che «non è ragionevole ipotizzare l’organizzazione di un inquinamento delle prove» tale da far sparire due corpi nei momenti concitati del dopo esplosione. Alcuni giornalisti che da anni seguono la vicenda hanno ampiamente dimostrato il contrario (chi vuole può trovare questa e altre verità cancellate nel mio libro appena uscito “C’è del marcio a Bologna” edito da Passaggio al Bosco).
L’imbarazzo di Bolognesi e l’ingiustificato silenzio della sua Associazione sul caso Fresu rimangono comunque un vulnus gravissimo che dovrebbe indignare gli altri familiari. Non è con le accuse politiche strumentali che si tutelano i loro interessi. Se davvero esistesse un’ansia di verità questa dovrebbe spingere a cercare di capire chi e perché ha sottratto il corpo di Maria Fresu dalla sala di attesa della stazione e, poi, anche quello dilaniato di un’altra donna, tuttora ignota (forse perché straniera? Magari palestinese?) di cui però oggi conosciamo il DNA.
A questo dovrebbe pensare Bolognesi. E a questo, invece, non risponde mai. Perché?
*Giornalista e scrittore