Il Cafè de Paris è ancora chiuso: il simbolo della Dolce Vita e il degrado della Roma di Gualtieri
Alain Delon, Brigitte Bardot, Federico Fellini, ma anche Frank Sinatra, Marcello Mastroianni: il Cafè de Paris in via Veneto è stato il simbolo della dolce vita, l’immagine della resurrezione di Roma e dell’Italia, divenuta epicentro del jetset e del cinema mondiale. Da sedici anni il Cafè è chiuso e il progetto di trasformarlo in un albergo di lusso, oggi che è di proprietà del magnate malesiano Robert Kuok, tarda a vedere la luce, mentre il sindaco Roberto Gualtieri, come è sua abitudine, tace.
La nascita, il boom, gli anni d’oro
Aperto nel 1948, il caffè divenne rapidamente il punto di incontro preferito da attori, registi, giornalisti e artisti di ogni genere. Federico Fellini, il maestro del cinema italiano, immortalò questo periodo nel suo capolavoro “La Dolce Vita”, rendendo il Café de Paris un’icona riconoscibile a livello mondiale. Negli anni sessanta e settanta trascinò Via Veneto rendendola il perimetro più glamour del mondo.
Gli anni dei paparazzi e delle liti con i personaggi famosi, di Ava Gardner e Frank Sinatra, delle serate a discutere, tra ozio e letteratura. Eugenio Scalfari nel libro, “La sera andavamo in via Veneto”, racconterà anche dell’osmosi tra mondo dell’imprenditoria, editori, giornalisti, in una Roma che era realmente capitale culturale.
Il post di Verdone sul Cafè de Paris
Carlo Verdone , in un famoso post dell’ottobre del 2022, scrisse testualmente citando lo zio Gastone: “Un giorno mi fece entrare nel Café de Paris e mi insegnò come ordinare al banco e a dare la mancia al cameriere che dovevo chiamare per nome. Voleva che imparassi a fare tutto da solo. Avrò avuto meno di dieci anni. La lezione sulla mancia durò parecchio. Su quanto lasciare, come darla e come appoggiarla sul banco. Era importante per lui far sentire il rumore della moneta mentre ordinavo, perché il barista, in uniforme elegante, sarebbe stato più veloce” scrisse Verdone. Il post dell’attore si chiuse con un velo di amarezza con quel bar chiuso, aggiungendo(mentre mostrava la fotografia del Cafè chiuso): “Questa foto dice tutto”.
L’ombra(sbagliata) della ‘ndrangheta
Il 2009 il locale fu sequestrato perché ritenuto di proprietà dei clan Alvaro-Sinopoli, un segmento importante della ‘ndrangheta. L’inchiesta era coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, guidata allora da Giuseppe Pignatone. Ci vorranno dieci anni e una sentenza della Cassazione per ribaltare le decisioni iniziali, smentendo la tesi iniziale. Poi, l’acquisto dell’immobile da parte di Robert Kuok e l’idea dell’hotel di lusso con il placet di Gualtieri che sul punto non ha più detto nulla, come se si trattasse di una vecchia baracca. L’albergo tarda ad arrivare, mentre quel cartello sbiadito ci ricorda la bellezza dei tempi che furono.