Cannabis light, in arrivo la stretta del governo: no a un modello che ha devastato i giovani

2 Ago 2024 14:56 - di Mario Campanella
cannabis light

Il governo ha detto no alla cannabis light e molti negozi dovranno chiudere. Verso di loro c’è la massima comprensione, poiché hanno intrapreso un’attività partendo dal presupposto di una legge, e bisognerà trovare delle soluzioni di compensazione sul piano economico per sostenerli. Il presidente della Camera, Fontana, ha espresso oggi questa posizione. Ovviamente nessun no è stato detto all’uso della cannabis in ambito scientifico, terapeutico, energetico.

La sinistra ha urlato allo scandalo, ha tacciato di proibizionismo il centrodestra (e del resto tutti loro vorrebbero la liberalizzazione della cannabis e una buona parte la liberalizzazione di ogni sostanza) ricadendo in un equivoco che è culturale.

I perché del no del governo alla cannabis light

L’emendamento approvato in commissione propone di intervenire sulla legge a sostegno della filiera della canapa ad uso industriale, con quantità di Thc inferiore allo 0,2%. Il fine è quello di “evitare che l’assunzione di prodotti da infiorescenza della canapa possa favorire, attraverso alterazioni dello stato psicofisico del soggetto assuntore, comportamenti che mettano a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica o la sicurezza stradale”.

La cultura hippy e i danni di oggi

Senza scadere nei moralismi retrogradi sin dagli anni settanta i radicali e la sinistra, scontrandosi con il Psi di Craxi, volevano la liberalizzazione delle droghe “leggere”. Le argomentazioni guardavano ad Amsterdam, dove ancora oggi, quasi quotidianamente, flotte di ragazzi italiani vengono rispediti al mittente con tanto di aereo e infermiere a bordo perché in preda a crisi psicotiche da assunzioni di droghe disparate.

Quel percorso di sdoganamento delle sostanze, alimentato in parte dalla differenza reale tra marijuana e cocaina e eroina ma soprattutto da un binomio che legava la droga al concetto di libertà individuale, oggi è riproposto in chiave antimafia: liberalizzare significherebbe togliere mercato alle mafie, una panzana smentita anche da pm come Nicola Gratteri, perché se c’è una cosa che purtroppo le organizzazioni criminali sanno fare bene è quella di essere “concorrenziali: oggi una dose di cocaina costa venti euro e domani una canna, ove mai fosse legalizzata, costerebbe meno dal pusher che in farmacia.

I danni prodotti da quella sottocultura hanno aperto il varco a un permissivismo globalizzato che ha intrinsecamente considerato lecito e iniziatico qualsiasi tipo di droga da assumere.

Si può sempre obiettare (e parte della sinistra lo fa) che alcol e fumo non sono caramelle e sono da sempre legalizzate ma c’è una enorme differenza. L’alcol se assunto in quantità modiche (un bicchiere di rosso ogni giorno) fa pure bene ed è piacevole, mentre il fumo, che fa male sempre, non altera i comportamenti e non incide sulla capacità di discernimento.

Il 5% è dipendente da poli-sostanze

Ribadendo che chi ha aperto un negozio di cannabis light lo ha fatto legittimamente è anche vero che è difficile non immaginare un richiamo subliminale alla sostanza pura con Thc e che la stessa cannabis leggera comunque contiene. Sulla vicenda è stato chiaro Maurizio Gasparri (che da 35 anni è un punto di riferimento delle comunità terapeutiche). “Chi difende la cannabis light difende sostanzialmente attività ambigue e pericolose. Spesso abbiamo visto che dietro questo commercio si celano ben altre attività. Va stroncata ogni forma di incoraggiamento all’uso delle droghe e alla propaganda delle droghe”.

Oggi la realtà (ma si parla di decenni) vede una percentuale di circa il 5% della popolazione alle prese con dipendenze da poli-sostanze: gente di ogni età, soprattutto giovani, che consuma quotidianamente di tutto e a cui una parte politica importante offre come alternativa solo la liberalizzazione. Non un progetto culturale di vita alternativo, né una pedagogia che si basi su una libertà vera, antitetica a quella idea (che Cancrini, comunista, definiva giustamente schiavitù) che è passata come percorso di fusione con l’uso di ogni tipo di droga.

Il limite che la sinistra non ha superato è proprio il chiavistello anni settanta per il quale la libertà personale è inviolabile. In realtà lo sarebbe sul piano giuridico (laddove, invece, il massimalismo forcaiolo aumenta a dismisura) e non su quello di una concezione assoluta del soggetto, per cui è giusto consentire di sballarsi. L’uso personale non è reato ed è sacrosanto che non lo sia ma la questione è da sempre sociologica. I danni di quella disgregazione valoriale, dell’uccisione del padre (su cui grandi autori da Recalcati a Kernberg hanno scritto saggi autorevoli) oggi portano un conto salato. Che non è affatto light e che riguarda tutti.

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