Gli anni ’70, le stragi e il “Granducato di Curlandia”: perché raccontare i fatti è ancora un problema?
A ogni anniversario di qualcosa, qualcuno tira fuori l’interpretazione politicamente corretta: quella che, a seguito della strage X o del delitto Y degli anni 1970, i democraticissimi cittadini reagirono, nella misura del 95%, mostrando la massima fiducia nelle istituzioni; e lo Stato, e le suaccennate istituzioni, a loro volta si mostrarono più efficienti della Prussia di re Federico II. Ebbene, le cose, negli anni 1965-85 circa, non andarono minimamente così, ma del tutto al contrario.
Intanto, e faccio appello a quelli della mia veneranda età, l’inefficienza dell’Italia era totale e a 360 gradi. I partitocratici governicchi cadevano come se piovesse. I treni accumulavano un ritardo che era diventato di fatto l’orario; le lettere non arrivavano mai o finivano al macero; la frequentazione delle scuole era arbitraria per gli alunni… e per i professori. L’inflazione saliva alle stelle.
Quanto all’ordine pubblico, io, da calabrese, richiamo quell’industria dei rapimenti estorsivi di persona che consentì a un fenomeno folcloristico, qual era da secoli la Ndrangheta, di assurgere, come è oggi, a potenza planetaria del crimine. A ogni sequestro, la tv mostrava uno spiegamento di forze anticrimine da far paura ad Attila, ma in Calabria sapevamo tutti che non si faceva quasi niente, e alla fine qualcuno pagava: o con soldi privati, o non raramente con soldi pubblici.
Non meno attiva era, in tutta Italia, la criminalità politica, e qui veniamo alle stragi eccetera. Bande di più o meno definita ideologia fecero il loro comodo, con assassini e violenze. Fermiamoci, verbigrazia, al caso di Moro, catturato non nel deserto dei Tartari di notte, ma di giorno in pienissimo centro di Roma, e ivi poi riconsegnato cadavere. Nessuno, e dico nessuno, ha mai creduto che degli intellettuali Br bravissimi a scrivere centinaia di pagine di demenziali e onanistiche “risoluzioni strategiche” fossero anche capaci di compiere tale azione del rapimento in due minuti, e tutto il resto; però lo si ripete come fosse solare.
Rimane invece il dubbio se degli apparati statali e partitici fossero in qualche modo conniventi; o, per quanto ho scritto sopra, erano desolatamente inefficienti; o forse entrambe le cose opportunamente intrecciate. Comunque, nessuno domandò ufficialmente e in tribunale quello che tutti in Italia ci chiedevamo: perché Moro, proprio Moro, e non un altro qualsiasi?
E che facevano, intanto, i servizi segreti? Ebbene, posso farvi nomi di tizi, casualmente figli di deputati, assunti come agenti segreti (rido, ma non scherzo!), mentre io, personalmente conoscendone alcuni, non avrei affidato loro da portare a spasso manco i miei cani: era il classico “posto fisso”. Forse alcuni agenti veri erano consapevoli, ma i tizietti cui sto pensando non avrebbero scoperto manco il Gatto e la Volpe di Pinocchio. Metteteci poi quelli che i giornalisti pudichi chiamano “servizi deviati”… deviati, da che?
In tali condizioni, era comodo, in quegli anni 1970, commettere una strage per mezzo di esplosivi e simili. Chi ha fatto il Sessantotto davvero sa che era agevole far circolare armi e bombe; e facilissimo trovare esecutori materiali di qualsiasi cosa, da una quasi innocua affissione vietata di manifesti, a risse, rapine, delitti, a volteggi di aerei intorno a Ustica. I testimoni, guarda tu, presto morti, e, come dicono i giuristi, mors solvit omnia, anche le rivelazioni.
I potenziali esecutori passavano da destra a sinistra e ritorno, e spesso senza aver idee chiare, anzi idee e basta. E i mandanti? Correva voce che sia gli aerei sia le armi fossero del Granducato di Curlandia con manine pendule in Italia. Se fu così, e se la Curlandia era nostra “amica”, tutti muti come il dio greco Arpocrate? Come andò a finire? Beh, i maligni sussurrano che tutto miracolosamente finì con il sequestro dell’americano Dozier del 1982, e l’arresto immediato di centinaia di terroristi di ogni genere, tutti poi condannati per responsabilità individuali – del resto, tale e non altro è il compito dei giudici: la storia la lascino agli storiografi – ma nessuno cantò; e sono morti sinceramente convinti di aver deciso e fatto tutto loro e senza suggeritori.
In queste poche e disadorne righe, altro non si poteva che lanciare qualche provocazione, e concludere che sono trascorsi tanti e tanti di quegli anni, che raccontare i fatti non dovrebbe spaventare nessuno. Evidentemente spaventa, però, se ci sono atti secretati, e che nessuno si è mai affannato a desecretare. E quando dico nessuno, intendo dire esattamente nessuno: e non posso credere che nei governi dal 1970 a oggi, in cui ci sono stati tutti, Y abbia voluto coprire X suo nemico, e X coprire Y. E se la colpa risultasse del granduca di Curlandia e di alcuni suoi complici italiani? Beh, è lo stesso: vorremmo tutti la nuda verità.