Trump, i dubbi del fotografo Mezzelani: “Impossibile quella foto del proiettile, a meno che non te l’aspetti…”
“Un’autentica barzelletta”. Non ha dubbi Ferdinando Mezzelani, titolare dell’agenzia GMT e noto fotografo di Sport e Salute e del Coni, in partenza per le Olimpiadi di Parigi 2024, parlando con l’Adnkronos della foto realizzata da Doug Mills, per il New York Times, che cattura la scia del proiettile che ha colpito l’orecchio dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Spiega perché, entrando nel merito tecnico. “Non ha senso fare una foto a una persona ferma a 30-40 fotogrammi al secondo, con un tempo di 1/8000. E’ un tempo che nessun fotografo userebbe per fotografare una persona che parla a un comizio. Si usa per il poligono alle Olimpiadi, per ‘fermare’ una palla giocata da Sinner o il passaggio di una macchina di Formula 1. Io lo userò alle Olimpiadi, per scattare le foto delle gare di tiro a volo”.
Trump e i dubbi di Mezzelani sulla foto del proiettile
Mezzelani, che è stato a lungo anche collaboratore del Messaggero e di Dagospia, si spinge oltre. “Se imposti quel tempo per fotografare Trump fermo come una statua, aspetti solo un attentato e un proiettile…”. Questo, anche perché “non ha neanche senso scattare in sequenza diecimila foto identiche. Lo può fare solo un fotografo che non sa tenere in mano una macchina fotografica”.
C’è una domanda che viene spontanea guardando alla lunga carriera di Mills, che ha 64 anni, fotografa presidenti degli Stati Uniti da decenni e ha vinto un premio Pulitzer per la campagna di Bill Clinton del ‘92 e per lo scandalo Lewinsky. “Statisticamente quel fotografo realizza le foto in quella maniera? Conosco già la risposta. Anche mio cognato Zeno Colantoni, noto fotografo d’arte, si è messo a ridere riflettendo sul rapporto iso, tempi e diaframmi di quella foto”, scandisce Mezzelani.
Tutte le cose che non tornano nello scatto
Ci sono altri elementi che secondo il fotografo non tornano guardando le foto scattate nei secondi che hanno seguito l’attentato a Trump. “Si ha l’impressione che abbiamo fermato Trump per dargli il tempo della seconda e della terza foto”, evidenzia, parlando anche dell’altro scatto che sta facendo il giro del mondo, quello del premio Pulitzer Evan Tucci con l’ex presidente degli Stati Uniti insanguinato, il pugno al cielo e la bandiera americana esposta alle spalle. “La bandiera è anche perfettamente angolata verso il fotografo, sembra una foto in sala posa”, fa notare ancora Mezzelani.
Altro elemento rilevante è la posizione dei fotografi. “E’ strano che stai al centro perfetto di un palco non significativo, non ci sono foto da lontano, non esiste il contesto. Sono cose chiuse, li hanno messi in un punto specifico, molto vicino, e notoriamente i fotografi americani sono molto diligenti, stanno dove li metti. Non ci sono altre foto scattate da lontano con il teleobiettivo, come sempre”, argomenta Mezzelani, sollevando altri dubbi sull’attendibilità di scatti che sono in ogni caso destinati a passare alla storia.