Dopo Biden c’è Kamala Harris, “regina” delle gaffe che si sganascia di risate senza motivo (video)
Con la decisione di Joe Biden di rinunciare alla rielezione e l’endorsement dato a Kamala Harris, la vice presidente democratica è di fatto la front runner a diventare la nuova candidata alla Casa Bianca. Ma il passaggio di testimone non è automatico, dal momento che la decisione sofferta dell’81enne presidente di fatto ha aperto la strada ad una ‘open convention’, cioè una convention che il 19 agosto prossimo a Chicago si aprirà senza il candidato già prescelto nelle primarie. Ed altri democratici potranno contendersi con Harris il voto dei delegati. Bisogna comunque ricordare che i delegati non solo sono stati eletti in quota Biden ma sono stati anche selezionati dalla sua campagna. Quindi per avere una maggioranza di delegati che scelga un candidato diverso da Harris ci dovrebbe essere un massiccio numero di defezioni da parte dei supporter di Biden. In teoria comunque secondo le regole del partito democratico i delegati eletti per Biden non hanno nessun obbligo di appoggiare il successore da lui indicato.
Bisogna poi considerare un altro gruppo di delegati, i cosiddetti ‘super delegati’, circa 700 leader del partito e funzionari eletti che diventano autonomamente delegati. Loro hanno maggiore libertà di voto – solitamente possono partecipare solo dalla seconda chiamata – ma non è ancora chiaro se in questa convention senza precedenti si seguiranno altre regole, diciamo di emergenza.
Chi è Kamala Harris, la regina delle gaffe
“Pioneer”. Questo il nome in codice che Kamala Harris aveva scelto per il Secret Service, che ha incominciato a proteggerla durante la campagna elettorale per la vice presidenza Usa. E la sua vocazione di pioniera, dopo averla dimostrata come prima vice presidente donna alla Casa Bianca, l’ha confermato come prima candidata donna alla presidenza americana. In precedenza, è stata la prima donna di colore eletta procuratore distrettuale della California, poi prima donna attorney general, prima senatrice di origine indiana ed ora ad un passo dal diventare la prima donna vice presidente degli Stati Uniti. Della vice Bide, negli anni, si ricordano soprattutto le clamorose gaffe fatte pubblicamente, da quelle verbali, come quando confuse “population” con “pollution” (inquinamento) trasformando in maniera surreale il senso della frase che stava pronunciando. “Quando investiremo in energia pulita e in veicoli elettrici e ridurremo la popolazione sempre più i nostri figli potranno respirare aria pura e bere acqua pulita”. La Harris fu anche al centro di una polemica per aver indossato dei pantaloni Dolce & Gabbana da 900 dollari durante un comizio in cui parlava di povertà, ma i suoi scivoloni sono legati soprattutto alla sua tendenza a ridere in momenti poco opportuni. Come quando, a una domanda sulla tragedia del’Afghanistan, all’aeroporto di Singapore, dove era in visita per incontrare il primo ministro Lee Hsien Loong, sulla domanda sulla questione della frepressione afghana, interruppe la cronista. “No, un momento, aspetta, rallenta”, e scoppiò a ridere fragorosamente. Durante una conferenza stampa congiunta ll presidente polacco Andrzej Duda Varsavia, in Polonia, la vicepresidente degli Stati Uniti non riuscì a trattenere le risate alla domanda di una cronista se l’America accoglierà profughi ucraini.
Chi è la possibile avversaria di Trump
Nata a Berkley il 20 ottobre 1964, Kamala Devi Harris è figlia di due accademici, la ricercatrice indiana specializzata in oncologia, Shyamala Gopalan, e l’economista della Giamaica, Donald Harris, che erano uniti dalla passione per il movimento per i diritti civili. E la piccola Kamala quando era ancora in passeggino ha partecipato a diverse manifestazioni nel leggendario campus della protesta Usa.
Militante anche il nome che mamma Gopalan scelse per lei: Kamala significa loto ma è anche un altro nome per indicare la dea Hindu Lakshmi e la forza delle donne. “Una cultura che venera le dee produce donne forti”, ha detto la madre di Harris in un’intervista nel 2004. Dopo il divorzio dei genitori, Kamala e la sorella Maya rimangono a Berkley con la madre e partecipano ai programmi di integrazione scolastica, andando ogni mattina in autobus dal loro quartiere a predominanza afroamericana in una scuola elementare di un distretto ricco di bianchi.
Le bambine frequentano sia il tempio hindu che la chiesa battista afroamericana, che la denominazione a cui ora appartiene Harris. “Mia madre capiva molto bene che stava crescendo due figlie afroamericane”, ha scritto nella sua autobiografia. Negli stessi anni visitano la famiglia in India che ha una grande influenza su di lei, in particolare il nonno, un alto funzionario del governo che aveva combattuto per l’indipendenza, e la nonna, un’attivista che viaggiava per le campagne indicane istruendo le contadine sul controllo delle nascite.
Dopo le scuole superiori a Montreal, dove la madre aveva avuto un posto all’università, Kamala si laurea prima alla Howard University, il prestigioso Black college di Washington, e poi torna a San Francisco per la Law School. Nel 1990 diventa avvocato ed entra nell’ufficio del procuratore di Oakland, concentrandosi sui crimini sessuali. A chi, anche all’interno della sua famiglia liberal, esprime scetticismo sulla sua scelta indicando la cattiva reputazione dei procuratori, replica che intende cambiare il sistema dall’interno.
Negli anni trascorsi nell’ufficio del procuratore Harris si crea i contatti con gli ambienti politici e ricchi di San Francisco che nel 2003 appoggeranno l’avvio della sua formidabile carriera politica. Durante i suoi primi tre anni come procuratore distrettuale il tasso delle condanne sale dal 52 al 67%, numeri che le hanno dato l’etichetta di procuratrice di ferro e che le hanno fatto guadagnare critiche e sospetti da parte del movimento Black Lives Matter.
Diventata poi attorney general, Harris diventa poi alleata della prima ora di Barack Obama ed una dei suoi fund raiser in California. E il presidente nel 2013 la definisce “il procuratore generale più affascinante del Paese”, scusandosi poi per il tono sessista.
Anche alcune azioni di Harris come attorney general sono messe sotto accusa dal movimento di protesta contro la polizia: in particolare il fatto di non aver avviato un’inchiesta sull’uccisione di due afroamericani nel 2014 e 2015 e non aver sostenuto un progetto di legge per la nomina di un procuratore speciale per i casi di uso eccessivo della forza da parte della polizia. Nel 2014 si sposa con Doug Emhoff, un avvocato degli studios di Hollywood, che ha due figli adolescenti da un precedente matrimonio che ora la chiamano Momala. Nelle elezioni del 2016, quelle della vittoria di Donald Trump, vince il suo seggio al Senato e la Harris diventa famosa a livello nazionale nel 2017 quando, da esperta procuratrice, mette alle corde l’allora ministro della Giustizia, Jeff Sessions, all’esordio dell’inchiesta del Russiagate.
Nel suo primo discorso da vice presidente, aveva detto: ”Anche se sono la prima donna a ricoprire questo incarico, non sarò l’ultima. Qualunque bambina ci sta guardando stasera vede che questo è il Paese delle possibilità”.