Astensione, l’arma che qualcuno vorrebbe usare contro la destra. Ma è da quasi 50 anni che l’affluenza è in calo…
“L’infallibile Alessandra Ghisleri sente aria di astensionismo crescente”. Lo sottolinea oggi Alessandro De Angelis in un commento su La Stampa. E’ un ritornello che si sente ripetere un po’ ovunque quello sull’astensione massiccia. E’ come se già si fosse preparati, in caso di un exploit della destra, a dire: guardate che i veri vincitori sono quelli che non hanno votato.
Al cui indirizzo arrivano giudizi consolatori, quasi incoraggianti. Se non votano, assicura De Angelis, “l’antipolitica non c’entra. C’entra piuttosto il rifiuto consapevole di una discussione, al tempo stesso, estremizzata e inconcludente”. Si aggiungano gli alti lamenti per il ritorno (presunto) di Tangentopoli per l’inchiesta ligure. E il bis di Sergio Rizzo che dopo “La casta” torna a gettare discredito sulla politica con un altro libro. “La casta non se ne è mai andata, anzi è pure peggiorata”. Rizzo, come anche Michele Serra, contesta anche il mandato popolare a governare che la destra ha acquisito alle politiche del 2022. Mandato scarso – dicono – perché hanno preso i voti del 26,7% del corpo elettorale. E’ tutto uno schifo, dunque, perché la destra governa. E se gli italiani non votano, vengono arruolati di fatto nell’esercito progressista. Così hanno trovato l’inganno dialettico che consente loro di dire che mica hanno perso, anzi… avrebbe perso la destra che ha vinto.
Argomentazioni funamboliche quanto volete ma che schiere di commentatori anti-Meloni si ripropongono di tornare a sfoderare anche per il voto europeo. Argomentazioni che tra l’altro non tengono conto di un dato costante sull’affluenza al voto. “A partire dalle elezioni del 1979 – annota Openpolis – l’affluenza alle consultazioni parlamentari ha subito un progressivo e quasi continuo calo che l’ha portata dal 93,4% del 1976 al 63,8% del 2022. Ma se in oltre 30 anni l’affluenza è calata di 10 punti, passando da oltre il 90% fino a valori comunque superiori all’80%, nel successivo quindicennio il calo ha subito una drastica accelerazione. Tra il 2008 e il 2022 infatti la quota di elettori che si sono recati alle urne si è ridotta di quasi 17 punti percentuali”. Colpa della destra? Del linguaggio aggressivo di Meloni? Del campo largo che non decolla? Della casta che ruba? No. Sono tutte corbellerie queste ultime. La colpa, o meglio la spiegazione, risiede nel fatto che questa è la tendenza in tutte le democrazie occidentali soprattutto dopo il crollo delle ideologie.
Secondo un focus del Messaggero quando l’affluenza è in calo in elezioni come quelle dell’8 e 9 giugno che vengono considerate elezioni di mid-term per il governo Meloni sarebbero proprio i supporter della maggioranza quelli meno motivati. Ma è davvero così? Il fattore delle due leader che scendono in campo è così trascurabile? Difficile crederlo. Anzi, la scelta di Meloni e Schlein – a dispetto della lagna sulla presenza post-voto a Bruxelles lanciata da Prodi e raccolta dal M5S – avrà come effetto sicuramente quello di sospingere verso le urne un numero maggiore di elettori. Particolare ovvio ma fin qui trascurato. Ora i sondaggisti dicono che la soglia psicologica da non infrangere sarebbe quella del 50%: auspichiamo che venga abbondantemente superata e che dopo ci si risparmi il lamento sui non votanti come arma delegittimante di chi ha preso più voti. In democrazia decide chi vota, chi non lo fa ha scelto di non avere voce e non è il caso di attribuirgli bandierine non volute.