Toti sospeso dalla funzione. I “precedenti” delle gogne ingiuste: Alemanno, Bassolino, Vincenzi, Del Turco, Storace

7 Mag 2024 13:41 - di Annalisa Terranova

Il presidente è sereno, convinto di poter spiegare tutto. La Regione continuerà a lavorare anche in sua assenza. Per quello che abbiamo potuto vedere fino a questo momento, sono tutti fatti a cui possiamo dare una spiegazione nell’ambito di una legittima attività di amministrazione nell’interesse pubblico“. Così l’avvocato Stefano Savi, difensore del presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, arrestato stamattina per corruzione, parlando con i giornalisti nell’atrio dell’appartamento dove vive il governatore a Genova.

“Non si parla di dimissioni- prosegue il legale- si sospende dalla funzione e poi vediamo che cosa succede. Il processo è ancora tutto fare, non basta una misura cautelare. Per i motivi etici, vedremo. Ora leggeremo gli atti e cercheremo di capire come portare elementi difensivi nel miglior modo possibile”. Savi, già difensore dell’ex sindaco Marta Vincenzi, conferma che Toti è “molto sereno, molto tranquillo. Vuole affrontare il procedimento spiegando esattamente come possono essere interpretati alcuni fatti”. E proprio mentre l’avvocato parla, il governatore esce dal palazzo, accompagnato dalla sua scorta e dalla Guardia di finanza in borghese, che lo fa salire su un’auto che lo attende all’esterno. Prima di partire, il governatore saluta i giornalisti dal finestrino, con una mano.

Una vicenda, la sua, che ne fa tornare in mente altre. E tutto ciò mentre i garantisti fanno i garantisti e i giustizialisti (leggi i grillini) si affannano a dire che la giunta ligure non può andare avanti. Anche questo è un copione già visto. Cominciamo proprio da Marta Vincenzi. Condannata per l’alluvione del 2011 a Genova. Una sentenza assurda la sua: non ha saputo prevedere che sulla sua città si sarebbe abbattuta la catastrofe, una pioggia che anche le previsioni avevano sottovalutato. Ha finito da poco di scontare i tre anni patteggiati con affidamento ai servizi sociali. Il suo nome viene in mente perché è ligure come Toti e con lui condivide lo stesso legale.

Cambiamo sponda: anche quella di Gianni Alemanno è stata una carriera su cui le accuse della magistratura hanno pesato fino a distruggerla. Da un giorno all’altro la sua credibilità si è sbriciolata. Pesantissimo il marchio di “mafioso”. Un tritacarne dal quale c’è chi non si riprende più. Solo Giuliano Ferrara all’epoca argomentò i suoi dubbi con passione: io la mafia non la vedo, non vedo sangue, non vedo delitti… E infatti la magistratura ha dovuto riconoscere che Alemanno mafioso non era e che lo stesso nome dell’inchiesta – mafia capitale – era un gigantesco bluff, una fake news, il copione di una fiction. Che resta, però, saldamente radicata nell’immaginario popolare.

Andando più indietro nel tempo c’è il clamoroso caso di Ottaviano Del Turco. Invischiato nella Sanitopoli abruzzese da presidente della Regione, la sua vicenda giudiziaria è andata avanti per un decennio. Man mano sono caduti tutti i reati di cui era accusato: corruzione, concussione, truffa, falso e associazione a delinquere. Alla fine è stato ritenuto colpevole di «induzione indebita a dare o promettere utilità» e condannato in via definitiva (3 anni e 11 mesi). Ma il reato esiste solo dal 2012, introdotto dalla legge Severino. E i soldi, ha scritto Giuliano Cazzola, non sono mai stati trovati. Cazzola ha anche raccontato dell’isolamento politico subìto da Del Turco: “Quando ero deputato  ho visto e sofferto l’isolamento in cui fu lasciato Ottaviano Del Turco (tra i fondatori del Pd) dopo il suo arresto il 14 luglio 2008. Fui il solo a recarmi, insieme ad una collega, in visita al carcere di massima sicurezza dove era rinchiuso. Quando venne messo in libertà (in attesa del processo e quindi presunto innocente) Ottaviano si presentava alla Camera, si sedeva nel Transatlantico vicino alla buvette e mi chiamava al telefono. Appena possibile lo raggiungevo. E osservavamo insieme i deputati del Pd compiere giri strani o passarci davanti in fretta, al massimo con un cenno imbarazzato di saluto”.

Altra regione, altro governatore, altra gogna giudiziaria. Campania. Antonio Bassolino. Prima divenuto emblema della peggior corruzione. Poi, assolto ma da tutti dimenticato. Ha scritto il giornalista Marco Staglianò: “Bassolino non era solo il Presidente della Regione Campania, era un leader di caratura nazionale, certamente il leader più autorevole della Sinistra meridionale. Ed il punto, forse, è proprio questo. La genesi del declino politico di Antonio Bassolino fu essenzialmente giudiziaria. I fatti, ovvero quelle diciannove assoluzioni, ci dicono che era innocente, confermano l’urgenza di affrontare finalmente, in questo Paese, i tanti nodi irrisolti che gravano sulla giustizia, di riequilibrare secondo Costituzione il rapporto tra i poteri, di porre fine alla barbarie dei processi mediatici”.

Merita una menzione anche il Laziogate. Lo scandalo delle presunte intrusioni nel sistema informatico dell’anagrafe di cui sarebbe stato responsabile il governatore del Lazio Francesco Storace. Che nel 2005, a causa della vicenda, perde le elezioni. E poi si dimette da ministro perché indagato per la spy story che si rivelerà infondata. Dopo sette anni arriva l’assoluzione.

Certo, tutti questi sono casi diversi tra loro così come diverso è il caso dell’inchiesta che coinvolge Giovanni Toti. Ma in comune hanno tutti un elemento sconfortante: la giustizia usata come clava politica. Una giustizia che troppe volte ha fatto cilecca. Usando però tempi e modi che hanno gravemente condizionato il panorama politico. Tra un mese si vota, infatti. E questo è venuto in mente a tutti noi.

 

 

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