Salis? Sempre più nel nome del padre. Se il capotavola siede a sinistra il “patriarcato” diventa un valore…

27 Mag 2024 7:00 - di Spartaco Pupo

Il coro che la sinistra dirige su patriarcato e maschilismo smette di cantare quando l’autoritarismo maschile si impone a casa sua, specialmente se in campagna elettorale. Freud, il motto sessantottino «Uccidi il padre!», Sartre e il marciume della paternità, i plotoni d’esecuzione femministi contro chiunque osi persino pronunciare la parola “uomo” – tutto si ferma se il padre capotavola è seduto da quelle parti

I fautori del patriarcato, secondo i moralisti sinistrorsi, sono sempre e solo tra i tradizionalisti, quindi a destra, dove si nasconderebbero quanti ostentano più o meno direttamente forme di paternalismo come strumento di oppressione sociale fatto passare per “amore”. Hanno scritto tonnellate di libri e articoli per spiegarci che l’esaltazione della figura del padre, del maschio, dell’eroe, del capo, ecc., anche quando può apparire giustificabile, comunque ostacola i progressi faticosamente raggiunti in materia di uguaglianza di genere. Ma a quanto pare c’è patriarcato e patriarcato. Quello degli altri va stigmatizzato, il proprio va politicamente valorizzato.

Roberto Salis porta avanti da mesi una battaglia da papà preoccupato per le sorti della figlia, prima detenuta nelle carceri ungheresi, ora ai domiciliari e candidata alle europee per la sinistra. È sempre in televisione, sui giornali, sui palchi di tutta Italia, rilascia interviste protettive e ammonitive, rimbrotta, minaccia di querela e zittisce chiunque osi pensarla diversamente da lui e dalla sua famiglia. In tutto e per tutto fa le veci della figlia, tanto da avere eclissato totalmente sia la figura dei legali che quella della stessa madre di Ilaria. Quest’ultima è come se non esistesse, se non fosse per qualche sporadico accenno da parte di Ilaria.

Papà Roberto è tutto: padre, madre, avvocato, consulente, mentore, procuratore politico, persino alter ego elettorale della figlia. Chi mai oserebbe accusarlo di incarnare alla perfezione la famigerata patria potestas che quelli della sua parte politica addebitano agli altri? Nessuno. È semplicemente un padre di famiglia premuroso e borghese quanto basta per dimostrare al mondo intero che la sua parola di maschio conta e la sua autorità paterna è insostituibile. 

Ma chiedo per un amico ingenuo: non è forse questo un caso eclatante di direzione paternalistica dall’insopprimibile esigenza funzionale? O qui valgono le attenuanti legate all’appartenenza politica? E se quel padre e quella figlia fossero di destra? Non osiamo neppure immaginare.

Chissà quante figliole condannate a marcire in carcere desidererebbero un padre carismatico, battagliero, trascinatore di folle, influente e potente come quello di Ilaria, pronto ad agire per loro conto. Molte, in verità, non possono permettersi neanche l’avvocato. E chissà quante sono le Ilarie accusate di delitti diversi da quelli dell’insegnante monzese, non legati cioè alla violenza politica ma a quella ordinaria, magari anche per bisogno o per fame, che non hanno alcuna voce in capitolo, né paterna né di altro genere.

Ma la giustizia è un miraggio. E a quanto pare lo sanno anche a sinistra.

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