La pornografia come decadenza: Lilli Gruber e la tesi evoliana della “pandemia del sesso”

3 Mag 2024 12:40 - di Annalisa Terranova

Ci sono dibattiti che si infiammano in relazione a casi di cronaca particolarmente nefasti. La scorsa estate lo stupro di gruppo a Palermo e quelli denunciati da due bambine di Caivano hanno portato in primo piano la questione del porno estremo gratuito e online cui hanno accesso i minori già dall’età di 7 anni come confermano alcuni studi. Il ministro Eugenia Roccella ha chiesto di esplicitare un divieto ai minori di 18 anni di accedere ai siti pornografici andando a disturbare un mercato colossale: non se ne è fatto nulla (nel decreto Caivano è contenuto tuttavia un incentivo al meccanismo del parental control) ma Roccella ha ricevuto il sostegno dell’attore porno Rocco Siffredi, che quel mondo lo conosce bene, e si è detto favorevole ai divieti.

Il libro di Gruber “Non farti fottere”

E’ in questi giorni in libreria un interessante volume della giornalista Lilli Gruber dal titolo provocatorio: “Non farti fottere” (Rizzoli, pp. 222, euro 18) che si addentra nei meccanismi di un sistema che è ormai quello dal quale gli adolescenti, senza intermediari, apprendono la grammatica distorta delle relazioni tra i sessi. Non solo, leggendo le pagine del libro non si può fare a meno di interrogarsi sull’effettiva libertà di attrici e attori costretti dalla legge spietata della concorrenza a girare scene sempre più violente. Tra queste in particolare una delle più ricercate è la gang bang che ci riporta alle sconcertanti affermazioni della ginecologa Alessandra Graziottin, intervistata nel libro, secondo la quale lo stupro di gruppo è ormai divenuto, per i maschi, una sorta di “rito di iniziazione”.

Le relazioni tra stupro e pornografia

Il dibattito sulle possibili relazioni esistenti tra pornografia e stupro non è nuovo, e ha a lungo imperversato anche nel mondo femminista. Joanna Burke, nel suo libro intitolato “Stupro” (2009) riporta il parere della femminista Florence Rush la quale osservò che la violenza sessuale assolveva a una funzione culturale: faceva parte del modo in cui le ragazze entravano nel loro ruolo sociale di donne. La pornografia offriva ai maschi i “copioni di stupro”. Da qui all’accusa generalizzata al patriarcato cioè al dominio dei maschi tendenzialmente tutti stupratori (o guardoni) il passo è breve. Ma la discussione finisce anche con il coinvolgere le donne che prestano il loro corpo a un processo di reificazione.

Le sex workers che ci credono

Ovviamente non è una visione univoca. Ci sono delle sex workers che nel mondo a luci rosse si trovano benissimo e si sentono realizzate, o almeno così dichiarano. Queenie Sateen ad esempio ritiene che girare un film porno sia una forma d’arte: “Non avevo idea che mi sarebbe piaciuto così tanto. Alla fine ho scoperto una vera passione per questa attività. La gente non si rende conto che il sesso fatto per la telecamera non è come quello normale. E’ uno spettacolo, come il balletto”.

Il libro di Gruber, al di là della preoccupazione di respingere accuse di moralismo (come se non esistesse un problema di etica in tutte le professioni, anche e soprattutto in quella di produttore di video porno) ha il merito di ricondurre al business, al profitto, alle dinamiche di sfruttamento capitalistico il supermercato online del porno. Con un appello finale ai più giovani: “Non fatevi fottere. Uscite dal sexy shop virtuale, perché non è vero che lì si trova tutto. Mancano le sfumature dell’erotismo, i percorsi più avventurosi del desiderio, la curiosità per il corpo e la mente degli altri. Manca il rispetto per la vostra dignità, perché lì siete soprattutto merci, non persone. Mollate lo smartphone e riprendete in mano la vostra sessualità“.

L’educazione sessuale a scuola

Altro punto molto discusso è se l’educazione sessuale e all’affettività, introdotta a scuola, possa essere d’aiuto a rendere un adolescente più maturo e consapevole. In teoria l’assioma, pur se non dimostrato, è accattivante. Ma il vero dibattito riguarda chi sarebbero i presunti educatori e il ruolo delle famiglie. Il pericolo di indottrinamento ideologico, per i contrari, è sempre dietro l’angolo. Mentre i favorevoli, appartenendo alla cultura progressista, non possono invocare un inasprimento delle pene per chi stupra e commette violenza sulle donne e dunque ne fanno una questione culturale da scalfire con opportune pratiche pedagogiche.

Evola e la “moderna pandemia del sesso”

Ciò che colpisce leggendo il libro di Lilli Gruber è però anche un altro aspetto, e cioè l’affinità di alcune preoccupazioni espresse dall’autrice con le analisi tratteggiate quasi settant’anni fa dal filosofo tradizionalista Julius Evola e che oggi sono riproposte al lettore nella raccolta di articoli (curata da Paola De Giorgi) dal titolo “Il problema della donna. Scritti sulla femminilità 1921-1971“. Ebbene cosa sosteneva il barone reazionario non immune da tendenze misogine? Che la “moderna pandemia del sesso” era destinata a mortificare la libido e creare forme di “lussuria cerebralizzata”. A condurre insomma a una vita sessuale non attiva ma passiva (il consumo di video porno). Il che per Evola, che scriveva queste cose nel lontano 1957, e che non parlava di pornografia ma di “nudismo”, significava rovesciare la visione classica delle virtù: più in alto quelle spirituali, più in basso quelle legate al ventre. “Necessaria sarebbe invece – concludeva – una superiore libertà, quella che può solo essere data da dimensioni superiori dell’essere che nell’attuale regno della quantità e della materia l’uomo ha quasi perdute”. Stato “del quale la conseguenza non sarebbe affatto la repressione del sesso ma il possedere il sesso anziché esserne posseduti“.

 

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