È morto Mark Damon, eclettico attore cult di spaghetti western e horror che produsse “9 settimane e 1/2”
Arrivava dalla Mecca del Cinema, Hollywood. Ma ha conquistato fama e successo al di qua dell’oceano, in quella Hollywood sul Tevere nel periodo del suo splendore imprenditoriale e spettacolare: Cinecittà. Per questo oggi il lutto che ha colpito il mondo del cinema è una perdita che ci riguarda da vicino: parliamo di Mark Damon, uno dei volti più noti del western all’italiana – nato come Alan Harris a Chicago il 22 aprile 1933 – protagonista di celebri spaghetti western. E, successivamente, abile produttore e distributore cinematografico, morto domenica 12 maggio per cause naturali a Los Angeles all’età di 91 anni.
Tra i suoi vanti una volta smessi gli abiti dell’attore, la produzione di titoli gettonatissimi come 9 settimane e mezzo, Orchidea selvaggia e La storia infinita. L’annuncio della scomparsa è stato dato dalla famiglia con un comunicato. Era sposato con l’attrice Margaret Markov, e aveva due figli.
Cinema, è morto Mark Damon: attore di spaghetti western e l’horror
Un nome noto, il suo, incoronato con l’alloro hollywodiano di un Golden Globe conquistato per l’esordiente più promettente per il suo ruolo da protagonista in I vivi e i morti (1960) del regista Roger Corman, morto giovedì scorso. Una carriera a cavallo di due filoni all’epoca considerati di secondo livello: gli spaghetti western e l’horror. Ma che poi il revisionismo critico avrebbe nel corso del tempo rivalutato, accreditandogli gli onori imprenditoriali e il rispetto cinematografico che meritano, acquisendo il ruolo di generi a cui riconoscere dignità spettacolare e autorevolezza culturale a tutto tondo.
E allora, dopo aver recitato in I diavoli del gran prix (1963), sempre diretto da Corman, Mark Damon si trasferì in Italia con la speranza di dare impulso alla sua carriera come attore in particolare di film horror, dove fu ingaggiato da Mario Bava per I tre volti della paura (1963), diventato per l’appunto, in seguito, un titolo “cult”.
Una carriera da Oscar anche come produttore e distributore
Dopo una serie di film di vario genere tra cui Il giorno più corto. I cento cavalieri. Il figlio di Cleopatra e Agente segreto 777–Operazione Mistero, Damon fu scritturato per i film western girati da registi italiani. E allora, ha recitato in Johnny Oro (1966) di Sergio Corbucci, Johnny Yuma (1966) di Romolo Guerrieri, Requiescant (1967) di Carlo Lizzani, La morte non conta i dollari (1967) di Riccardo Freda (1967), Un treno per Durango (1968) di Mario Caiano, Tutto per tutto (1968) di Umberto Lenzi, Monta in sella figlio di…! (1971), Lo chiamano Verità (1972) di Luigi Perelli. Film e interpretazioni in cui l’attore, dallo sguardo ieratico alla connotazione crepuscolare, ma non priva di accenti forti all’occorrenza, ha portato e nobilitato la sua “maschera”. Il suo personaggio di celluloide.
Mark Damon è stato uno dei produttori più prolifici di Hollywood
Poi, dopo aver trascorso circa 20 anni a recitare, e con il genere spaghetti western in declino, nel 1974 Damon decise di cambiare mestiere. E l’anno dopo accettò un lavoro con un distributore di film italiani negli Usa per 1.000 dollari al mese. All’epoca erano i grandi studios statunitensi a occuparsi delle vendite all’estero, ma Damon pensò che le società locali potessero ottenere più incassi dai film. Ci mise sette anni – come ha raccontato lui stesso – prima di dimostrare che gli indipendenti potevano fare meglio degli studios. Così, tornato negli Stati Uniti nel 1977, fondò la società di produzione e vendita Producers Sales Organization. Dopo la produzione di U-Boot 96 e La storia infinita, la sua società si occupò delle vendite all’estero di Re per una notte (1982) di Martin Scorsese. E di C’era un volta in America (1984) di Sergio Leone.
Dopo il fallimento della Producers Sales Organization, nel 1987 Mark Damon, Jon Peters e Peter Guber fondarono la Vision International, che alla fine è stata venduta al Credit Lyonaisse. Nel 1993 Damon ha lanciato la società di produzione, vendita e distribuzione MDP Worldwide, che è stata quotata in borsa. Un decennio dopo, è diventata Media 8 Entertainment, per poi finire sull’orlo della bancarotta nel 2012.