Berizzi, il ritorno della bestia, i fascisti… ma il saluto romano in copertina è sbagliato. Si fa con la destra
Un libro per rilanciare l’allarme fascismo quello di Paolo Berizzi, edito da Rizzoli. Si intitola “Il ritorno della bestia“. Facile indovinare chi sia la bestia, e le bestie che votano da quella parte e la bestialità delle loro idee. E’ tutto un disumanizzare gli avversari, proprio come negli anni Settanta. Ma guai a dirlo perché Berizzi se ne dispiace. Comunque una bestialità (piccola ma non scusabile per uno che è così vigilante sul fascismo) sta pure in copertina. Si tratta dei saluti romani stilizzati, fatti però con la mano sinistra. Sarà stata l’AI a fare il guaio grafico? Chi lo sa. In ogni caso se si passa allo scritto di Berizzi, tralasciando la copertina, non è che le argomentazioni siano meno, diciamo, fuori controllo…
La tesi di fondo è presto detta: questa bestia che sarebbe il fascismo, si rianima grazie al fatto che ha potuto stare a cuccia all’ombra del Msi e oggi esce dalla tana perché si sente coperta da FdI. E la continuità dove sta? Ma nel mantenimento della fiamma missina ovviamente. Che sorge dalla bara di Mussolini. Questa esegesi del simbolo del Msi è una diceria, una fanfaluca, una fake news insomma che in un libro serio non dovrebbe trovare spazio. Invece… Va bene che per Berizzi anche quando parli o scrivi di Idea con la maiuscola sotto sotto vuoi dire o scrivere fascismo, ma un poco di documentazione non guasterebbe. E’ singolare però, per chi studia i simboli politici, osservare che negli anni Novanta il simbolo cattivo era la croce celtica. Demonizzata e bistrattata. Segno peccaminoso di estremismo. Fatta fuori la celtica a colpi di codice penale ci si butta sulla fiamma, con o senza trapezio (che poi, nel 1947, quando la fiamma venne adottata, la bara di Mussolini neanche c’era perché il corpo era stato trafugato e fu consegnato alla moglie Rachele solo dieci anni dopo).
Non vale molto la pena di attardarsi sugli esempi che Berizzi fa della bestia fascista ritornante, anche perché alcuni suonano assai ridicoli a cominciare dal battesimo nostalgico in cui le bimbe accompagnate al sacramento vengono salutate come “piccole balilla”. Invece merita un approfondimento la questione del simbolo della fiamma, che trae origine dalla fiaccola degli Arditi e che da sempre è un simbolo associato alle associazioni combattentistiche. E’ singolare il modo in cui Almirante adottò quel simbolo. E ne fa cenno Adalberto Baldoni nel suo libro “La traversata della destra“. Almirante nel 1947 sotto la sede del Msi in corso Vittorio Emanuele incontrò un mutilato di guerra che gli suggerì di adottare come simbolo la fiamma tricolore, che ricorda appunto i combattenti. Viene affidato a un pittore l’incarico di realizzare un bozzetto. Lo stesso Almirante a sua volta volle fare alcune correzioni e alla fine il direttorio del partito adottò appunto la fiamma, su base nera che poi divenne rossa. Base oggi scomparsa anche se la fiamma si trova ancora nel simbolo di FdI.
Ed è anche opportuno che vi rimanga, al momento, per custodire una storia e non lasciare ad imitatori improvvisati lo sfruttamento di un simbolo per cui molti sacrifici furono fatti e per il quale molti giovani furono uccisi senza avere giustizia e senza meritare neanche oggi il rispetto che sarebbe loro dovuto (anzi i libri che li oltraggiano diventano pure finalisti allo Strega). La leggenda necrofila della bara di Mussolini da cui si sprigiona la fiamma è appunto una narrazione infondata, utile ai vari Berizzi di turno che se la rimpallano e la usano in tv per demonizzare l’attuale governo e l’attuale partito di maggioranza. Ma è e rimane una leggenda.