Lo Strega e Acca Larenzia, Fulvio Abbate: riemerge la subcultura della Volante Rossa, ma si sa chi vincerà il premio

12 Apr 2024 15:19 - di Annalisa Terranova

“Fulvio Abbate?”. “Sì”. “Volevo farti qualche domanda sul Premio Strega, su questo romanzo che parla dell’eccidio di Acca Larenzia…”. “Non ne sapevo nulla, ho letto oggi sui giornali”. Gli spiego. Lui mi interrompe: “Intanto ci tenevo a dirti questo. Il mio antifascismo è chiaro da sempre. Ma qualche anno fa ero a Palermo e la città era tappezzata di scritte spray, sui muri era scritto “10 100 1000 Acca Larenzia”. Te lo sto dicendo perché trovai  assolutamente miserabile che qualcuno potesse utilizzare quel fatto drammatico in modo apologetico”.

Senti il punto è: come può arrivare in semifinale al Premio Strega un romanzetto che ha uno scopo politico ben preciso, e cioè attaccare la premier perché ha reso omaggio ai morti di Acca Larenzia e demolire il vittimismo dei camerati su quell’eccidio? Ma li leggono i libri prima di presentarli?

Beh tu sai che io ho difeso Sangiuliano e la sua legittimità a non leggere i libri dello Strega. Perché non lo fa nessuno. Dici che lo ha presentato Franco Di Mare? Lui è persona degna. Ma lì funziona così: tu vai da uno degli amici della domenica e chiedi “senti mi presenti il mio libro” per partecipare allo Strega? E in genere l’amico della domenica ti dice di sì, ma non è che si legge il libro, magari si fa mandare una scheda dall’autore…

Veniamo al romanzo di Valentina Mira, “Dalla stessa parte mi troverai”. Ovviamente lei scrive quello che le pare, ma manca di pietas nel parlare dei morti di Acca Larenzia, scrive in pratica che sono giustificati dal contesto. “Erano loro a sparare per primi”. Ma questo è inaccettabile, da una ragazza che non sa nulla di quegli anni…

E’ esistita una subcultura post-resistenziale che se vuoi è riferibile alla Volante Rossa, secondo la quale la Resistenza è stata un fenomeno incompiuto, perché i conti con i fascisti non erano stati fatti fino in fondo. E si accusava Togliatti per avere concesso l’amnistia. Un segmento del mondo comunista sedicente rivoluzionario negli anni Settanta, io c’ero, in modo assolutamente inaccettabile sosteneva che uccidere un fascista non era reato. Credo che quel portato subculturale non sia mai pienamente sparito in alcune realtà marginali.

Perché spingere un libro del genere? Per rinverdire i fasti dell’antifascismo militante? 

Io conosco i meccanismi dello Strega ma non so dare una risposta esatta. Non so dire se l’inclusione di questo libro nella dozzina che poi determinerà la cinquina dei finalisti sia un omaggio all’antifascismo militante al di là delle verità o delle imprecisioni che può contenere.  La persona che potrebbe dare una risposta è Marino Sinibaldi, che fa parte del comitato direttivo dello Strega, ha vissuto quegli anni essendo stato parte attiva di Lotta Continua, ritengo sia l’unico che possa dare una spiegazione – qualora lo volesse – sul perché della scelta di quel titolo. Il giudizio del comitato direttivo è insindacabile e i parametri di giudizio sono oscuri. Io non potrò mai sapere perché il mio romanzo, Lo Stemma, è stato escluso. Ora diranno che le mei parole sono dettate da risentimento o, peggio ancora, come dice la plebe social “rosicamento”. Però è curioso che questo romanzo abbia surclassato altri titoli, come per esempio il libro di un autore assai apprezzabile e oggi quasi ingiustamente ignorato Marco Lodoli, figlio di Renzo Lodoli, che fu responsabile culturale del Msi, scrittore a sua volta, con un bel romanzo “la patria difficile”…

Non c’entra il fatto che il romanzo è frutto di una cultura neo-antifascista che dà una lettura semplificata di quegli anni?

Che ti devo dire, nessuno ha più contezza di nulla. Del resto parliamo della dozzina. E poi il vincitore si conosce già. Sarà Chiara Valerio o Donatella Di Pietrantonio. Non è una questione di scrittura. Lo Strega lo può vincere anche il volantone del Pam se Veltroni decide che debba vincere anche se nel caso del romanzo in questione non credo che Veltroni c’entri. Poi c’è la pressione delle case editrici.

Ci può essere buona letteratura se non c’è pietas per le vittime di cui si scrive? O meglio in questo romanzo c’è pietas solo per Mario Scrocca…

Nessuno ha più le chiavi di lettura per contestualizzare ciò che è accaduto. Questo attiene alla complessità della riflessione storica che riguarda anche il linguaggio che ha attraversato quegli anni. Io andavo a scuola e dovevo stare attento a non essere massacrato di botte da Concutelli e mi ricordo che nel 1971 Servire il popolo si presentava alle elezioni chiedendo “un voto per l’insurrezione”. Tutto quel portato risibilmente velleitario ha fatto sì che realmente ci fosse per alcuni l’idea di una insorgenza  rivoluzionaria. La cosa peggiore di quella subcultura è stata l’idea poliziesca.

Cioè?

Cioè la vigilanza antifascista. Di recente ho trovato in un mercatino un ciclostilato di Lotta Continua che si chiama “Inchiesta sui fascisti di Monteverde” e che risale ai primi anni Settanta, dove sono schedati tutti i fascisti di Monteverde vecchio e nuovo, con le targhe, i bar, le abitudini.  Ho trovato raggelante che si potesse lavorare a queste schedature del “nemico”. Ci stanno pure il fratello di Gianfranco Fini e Giampiero Rubei, c’è Toni Augello. Come ho detto: raggelante.

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