L’editoriale. E con la “mossa del tarallo” la sottomissione del Pd a Conte è compiuta

13 Apr 2024 7:05 - di Antonio Rapisarda

E così Elly Schlein è finita stritolata politicamente dal “tarallo” pugliese. Ossia dalla ricetta, tutt’altro segreta e inedita, ordita dal duo di volponi – nonché “diversamente amici” della segretaria dem – Conte-Emiliano per scansarsi dalle responsabilità rimettendosi, incredibilmente, al centro della “soluzione” del caos in Puglia. Capace a sua volta, la leader del Nazareno nonché unica potenziale novità nel contesto, di lasciarsi sfuggire la ghiottissima occasione per chiudere in un colpo solo i conti con l’uno (il competitore per la leadership) e con l’altro (il cacicco da ridimensionare) approfittando dell’assist offerto dalle tre inchieste che stanno tempestando Bari e i suoi governanti. Ma per queste cose è necessario aver masticato sezioni e “scuola” di partito: non i licei in Svizzera, appunto.

Il risultato, parafrasando il celebre romanzo di Houellebecq, si chiama «sottomissione» (compiuta). Un bel guaio per chi crede o ha creduto nella funzione del Partito democratico. Ha allargato le braccia, sconsolato, chi ha tentato, col alterne fortune, di dare una dimensione maggioritaria agli epigoni del Pci. Walter Veltroni giorni fa – nel buen retiro della scrittura – ha squadernato tutto il suo disagio con una metafora: «Più che alla dimensione del campo sono interessato a che cosa ci si pianta in questo campo, a quali sono i fiori che ci si aspetta di veder sbocciare». E se i fiori sono infestati dai “grillini” e dalla loro versione del populismo, è il senso del primo segretario del Pd, il frutto del campo largo non può che essere immangiabile.

L’inchino di Michele Emiliano («Faremo ciò che ci chiedono prima delle Europee») dissimulato sotto forma di abbraccio ai “diktat” del capo 5stelle su protocolli (e assessorati) per la legalità – appeasement effettuato prima della reprimenda della segretaria, fatto che ha mandato Schlein su tutte le furie – è paradigmatico del tasso di penetrazione e di influenza del verbo contiano all’interno del corpaccione Pd. L’ultima stazione di una conversione direttamente proporzionale all’involuzione politico-programmatica di quello che dovrebbe essere, sulla carta, il catalizzatore naturale delle forze d’opposizione.

Che cosa è stato, se non un atto di sottomissione a tappe, l’aver ceduto – un vero e proprio disarmo – su temi qualificanti come reddito di cittadinanza, superbonus e salario minimo? Tutto questo da parte di un soggetto che bacchettava, prima dell’abbraccio al governo giallo-rosso, l’assistenzialismo grillino come «incentivo al lavoro nero» (parola di Francesco Boccia); che rivendicava il rigore di bilancio come un peana al «ce lo chiede l’Europa»; e che snobbava la soglia di salario base per legge, dato il rapporto consustanziale con la Cgil (con quest’ultima che a sua volta ha cambiato verso: altra storia, altra “crisi”). Prima del caos pugliese, era stata la volta del campo largo: punto qualificante della segreteria Schlein strattonato e riformulato a suo uso e consumo da Conte.

Eppure in tanti speravano che con l’avvento di Elly Schlein il Pd potesse assimilare, depurandole a sinistra, porzioni di grillismo con annesso consenso. È andata all’esatto opposto: il Pd si è completamente grillizzato e il M5S è tutt’altro che imploso. Di più: il Pd ha ceduto a Conte la leadership “morale” della coalizione. Con la benedizione di un pezzo grosso della “Ditta” (Bettini e Franceschini su tutti, con l’aiuto di Bersani e Speranza) che da tempo immemore ha scelto di rinunciare a quella che Stefano Folli definisce «un’idea riformatrice del Paese nel prossimo futuro». Quell’idea che avrebbe dovuto sviluppare la giovane leader che nessuno dei suoi «ha visto arrivare». Parliamo dell’idea…

 

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