L’editoriale. Cara sinistra, se vuoi davvero aiutare Ilaria Salis lascia parlare il “silenzio”

3 Apr 2024 7:00 - di Antonio Rapisarda

Cara sinistra politica e mediatica, se dalle vostre parti pensate di voler fare davvero gli interessi di Ilaria Salis dovreste valutare a questo punto una sola cosa: abbassare il volume della propaganda. E lasciar parlare i “silenzi” della diplomazia: quella che, su casi ben più complessi di questo, è riuscita a risolvere per il meglio l’impasse. Ossia a riportare in Italia i nostri concittadini in difficoltà in contesti sensibili (Alessia Piperno) o i cittadini stranieri (Patrick Zaki) che hanno elevato il Belpase a patria d’elezione. È evidente ogni giorno di più: la politicizzazione della vicenda della maestra brianzola, in stato di fermo a Budapest con l’accusa di far parte della Hammer band (un gruppo di picchiatori antifascisti dediti, sulla falsariga tarantiniana di “Bastardi senza gloria”, alla caccia al radicale di destra durante i festival), non sta facendo altro che complicare la situazione della Salis, a cui pochi giorni fa sono stati negati gli arresti domiciliari.

L’esecutivo di Budapest, dopo le vibranti proteste giunte (in loco) dalla sinistra e della stampa di riferimento, lo ha ribadito ieri senza giri di parole: non esiste alcuna possibilità di un intervento governativo nei confronti della magistratura magiara. Che è e resta indipendente dall’autorità politica. Certo, quelle immagini di Ilaria Salis incatenata, con i ceppi attorno ai polsi, non sono piaciute a nessuno: maggioranza e opposizione, istituzioni, governo e società civile. Lo sdegno è stato “nazionale”: anche se, vista la situazione delle carceri italiane, come dimostra il Rapporto Antigone, non abbiamo granché da insegnare agli ungheresi.

Comprensibile poi, più che comprensibile, il tentativo del signor Salis – il padre di Ilaria – di difendere la figlia in ogni modo: innocente o colpevole che sia. Lo ha fatto appellandosi anche al presidente della Repubblica il quale, con un gesto significativo, non ha fatto mancare la sua vicinanza alla famiglia durante le festività pasquali: ricordando però, oltre alla valutazione sulla differenza fra i due sistemi («Il nostro ispirato ai valori europei e il loro…» no), che le sue possibilità operative passano attraverso il governo. Ciò significa che non c’è discordanza fra le due istituzioni: unite sia nello stigmatizzare le condizioni detentive di Salis (nel frattempo, dopo l’intervento della premier Meloni, migliorate) che nell’azione di persuasione affinché possa essere valutata diversamente una nuova istanza per i domiciliari in Ungheria.

A complicare il quadro, però, ci ha pensato la carovana rosso-verde: perennemente in cerca di papesse – da Carola Rackete a Chiara Ferragni – con cui spera di far lievitare il suo appeal e rimpolpare le schiere. L’approccio dell’opposizione italiana è stato quello di fare della Salis una martire della libertà di espressione e non di considerarla quello che è: un’estremista di sinistra che sa quello che fa (lo dimostra la scelta politica di far pubblicare le foto con le catene ai polsi e alle caviglie). E che ha scelto di frequentare in giro per l’Europa – il processo stabilirà in che veste, ci auguriamo per lei da innocente – una banda di esaltati picchiatori.

L’allegra brigata Pd-Avs è giunta per questo fino a Budapest, con l’intenzione ghiottissima di fare del caso di Ilaria Salis l’espediente perfetto per colpire il governo e la premier Meloni: individuando strumentalmente nel sistema giudiziario ungherese la chiave di volta della democrazia “illiberale” di Orbàn. Come non è tramontata la tentazione di candidarla nelle liste del Pd alle Europee: sarebbe la quintessenza del profilo spot e radicale del “nuovo” Pd di Elly Schlein. Con questi ingredienti l’operazione “Salis” non può che risultare una speculazione a tutto tondo che rischia di ingarbugliare la situazione dato che, come è chiaro a occhio nudo, l’Ungheria ha una propria sensibilità giuridica nonché un’opinione pubblica interna. E più in Italia il caso giudiziario verrà trasformato in politico e più accadrà lo stesso in Ungheria: non è così difficile da comprendere. Così come non è difficile capire chi rischia di pagare, in prima persona, le conseguenze.

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